“
Machine Fucking Head Live” è il secondo disco dal vivo pubblicato da
Robb Flynn e soci, il primo essendo “
Hellalive” del 2003.
Tenete bene a mente quella data, il 2003, perché segna uno spartiacque nella carriera dei
Machine Head che, per inciso, sono una delle mie band preferite.
Fino al 2003 i
Machine Head erano stati non una grande band, ma una grandissima band.
Esordirono con “
Burn My Eyes” un disco mastodontico, a cavallo tra il vecchio thrash ottantiano, molto classico, e quello più moderno che vedeva nei
Pantera di “
Vulgar Display Of Power” il prototipo del thrash moderno che poi sarebbe esploso con l’altrettanto mastodontico “
The More Things Change…” (insieme alle cose dei
Fear Factory).
Non paghi si fiondano nel filone nu metal (già tastato col precedete disco) con il buonissimo “
The Burning Red”, un disco con un suono mostruoso che all’epoca li rendeva quasi unici. Altro giro altra corsa e nell’epoca in cui il metalcore sembrava dover diventare (come poi sarà) il nuovo trend ecco che i
Machine Head se ne escono con “
Supercharger”, altro disco molto buono.
Fino al 2003 i
Machine Head sono stati una band con i controcoglioni, sebbene fossero tacciati di paraculismo avendo cavalcato tutti i trend. Ma
Robb Flynn è un tipo astuto e ha saputo fare tutto con intelligenza, ovvero, per un verso, non facendosi mai trovare in ritardo, spesso anticipando i tempi, di modo da essere spesso accreditato come un innovatore e non un imitatore e, per altro verso, sfornando dischi tutti di elevatissima fattura.
Nel 2003 però il trend comincia a mutare, c’è un revival del vecchio thrash americano e anche stavolta i
Machine Head si fanno trovare pronti, con “
Through The Ashes Of Empire” e da quel momento non abbandoneranno più il solco, per tutti i dischi successivi, allungano le loro canzoni, inserendo assoli più articolati, e cominciando a picchiare a più non posso, con dischi stavolta non più eccellenti ma, nella migliore delle ipotesi, buoni.
E’ chiaro che musicalmente non gli si può, e non gli si è potuto, mai dire niente, semplicemente la scintilla compositiva li ha abbandonati. E allora hai voglia a picchiare come un forsennato caro
Robb Flynn.
Ho fatto tutto questo panegirico solamente per rendervi conto del fatto che il qui presente doppio disco dal vivo, dovendo segnare, secondo le parole della band, il punto della situazione a 18 anni dalla fondazione, li vede sì in forma (sono una macchina da guerra dal vivo), ma a mio modesto modo di vedere con ormai poche, se non pochissime, cose da dire.
La riprova è proprio in questo disco. La differenza tra i vecchi pezzi (molto pochi per la verità) e quelli più nuovi è lampante. “
Old”, “
Davidian”, “
Ten Ton Hammer” e la stessa, ruffiana, “
The Blood, The Sweet, The Tears” sono diverse spanne, a esser buoni, sopra le altre canzoni.
A peritura vergogna della band sta nell’aver pescato troppo poco dai primi dischi, rinnegando praticamente una delle migliori doppiette della storia del metal, quell’accoppiata “
Burn My Eyes”/“
The More Things Change…” che, al di là delle odierne cagate, ha già consegnato la band di Oakland alla leggenda.
Solo per i fan dell’ultim’ora. Chi volesse ascoltare i
Machine Head dal vivo, quelli veri, si compri “
Hellalive”.