Non c'è strada troppo lunga per chi cammina lentamente e senza fretta; non ci sono mete troppo lontane per chi si prepara ad esse con la pazienza.
E in effetti ce n'è voluto di tempo, ma alla fine ce l'abbiamo fatta: anche il primo lavoro di Enrico Sidoti sotto il moniker
Earthcry , intitolato
"Where the Road Leads", vede la luce sulle pagine virtuali di Metal.it. Potrei raccontarvi che ho voluto attendere qualche mese per valutarne l'effettiva bontà anche dopo la prova del tempo..beh, la prova del tempo è stata superata alla grandissima, perchè qui, signore e signori, abbiamo a che fare con un album ECCEZIONALE.
Certo voi vi domanderete: ma sto
Enrico Sidoti chi è? E il buon Enrico non me ne voglia, ma la domanda è sorta spontanea anche al sottoscritto, che prima del progetto Earthcry non aveva proprio mai sentito parlare del giovane batterista genovese, fin li conosciuto per aver suonato la batteria nei liguri Razorblade, anche in questo caso poco più che carneadi.
Basta invece una lettura al peraltro ottimo booklet allegato al disco targato Revalve Records per rendersi conto che il resto dei compagni di viaggio di Enrico sono tutto meno che illustri sconosciuti, soprattutto quelli prescelti per stare dietro al microfono. Qualche nome a casaccio? No no, qui le presentazioni vanno fatte con tutti i crismi del caso.
Partiamo dalla sezione strumentale, dove troviamo il già citato mastermind del progetto Enrico Sidoti alla batteria,
Bruno di Giorgi alle chitarre,
Tommi Delfino alle tastiere e al basso il primo nome celebre del lotto, quel
Leone Villani Conti che tante meraviglie ha creato nei suoi Trick or Treat. Mai scelta poteva essere migliore, da questo punto di vista. In aggiunta a questi eccellenti musicisti troviamo due ospiti d'eccezione alla chitarra, ovvero l'ex DGM
Diego Reali e
Simone Mularoni, che dei romani è invece l'attuale chitarrista.
DGM che tornano d'attualità anche muovendoci verso il tanto citato microfono, dato che uno dei 6 protagonisti del nostro concept album..ah non ve l'avevo ancora detto? Ebbene si, il buon Sidoti ha pensato di fare le cose davvero in grande per il suo esordio sul palcoscenico più importante, realizzando una storia dai tratti futuristici nella quale ognuno dei cantanti ospiti sul disco interpreta uno dei personaggi, in puro stile Avantasia, Ayreon e compagnia suonante.
La storia racconta infatti le (dis)avventure di due amici,
The Believer aka Roberto Tiranti (Labyrinth su tutti, ma anche Vanexa e A Perfect Day) e
Outsider aka Mark Basile (dei già citati DGM) che durante una tranquilla gita in barca al largo di Miami (l'intro
"Sailing On") vengono colpiti da una furiosa tempesta, a seguito della quale entrano in contatto con una misteriosa spirale di luce (
"New Fading Sun"), salvo naufragare sull'isola di Bimini: e s'inizia subito col botto, con una canzone splendida a metà tra il power e il prog, generi sui quali si muoverà un po' tutto il disco, con fortissime affinità a quanto fatto da Arjen Lucassen coi suoi Ayreon e da Daniele Liverani nella Genius Rock Opera, grazie soprattutto a un Roberto Tiranti che si dimostra ancora una volta uno dei migliori cantanti italiani e del mondo, senza se e senza ma.
Da non sottovalutare comunque nemmeno la prova di Mark Basile, che con la sua voce aggressiva fa da contraltare alla voce più prettamente pulita di Tiranti, in perfetta affinità ai caratteri dei due personaggi interpretati: The Believer infatti crede che la spirale sia una sorta di segno divino, mentre Outsider è molto più reticente a riguardo, nonostante le parole di
The Doctor aka Damian Wilson (Threshold, Headspace) che in "
Hospitality" spiega loro che si tratta del Velo dei Maya, utile a coprire le verità oscure del mondo. Wilson offre la solita prova carica di pathos che caratterizza le sue performance, e avendo lavorato con Lucassen sul progetto Star One fa un po' da tramite ideale tra il polistrumentista olandese e gli Earthcry, cosa che
Oliver Hartmann (At Vance, Hartmann) invece fa nel parallelo con gli Avantasia, interpretando il personaggio dell'
Old One, un ormai vecchio pilota della RAF, residente in un ospizio, che durante la Seconda Guerra Mondiale visse un'esperienza simile a quella dei due giovani, raccontata con un certo distacco dalla realtà (colpa dei farmaci) in "
Recall" prima e nella splendida "
Into the Asylum" poi, canzone dalle linee vocali magistrali e splendidamente intrecciate, in particolare quelle di Tiranti e Basile, che offrono davvero una prova al limite dell'eccellenza.
Durante il loro periodo nel manicomio fanno conoscenza con un altro paziente,
The Pawn aka Zak Stevens (Savatage, Circle II Circle) che racconta delle verità nascoste agli occhi della gente riguardo le spedizioni sulla Luna, teatro in realtà di antiche guerre mai rivelate: la splendida "
Landscapes" e la successiva "
Strangers" sono le canzoni che ospitano Zak, che in coppia con Hartmann prima e Wilson poi sfoggia una prestazione di livello, che soprattutto nella prima canzone citata, forse la migliore del disco assieme a "Into the Asylum", si tinge di tinte tipicamente prog, proprio à-la-Savatage se vogliamo.
La storia intanto prosegue e, grazie alle indicazioni dell'Old One, scoprono che il fulcro della vicenda è in Messico, in un antichissimo tempio costruito da una leggendaria civiltà pre-Colombiana che aveva il compito di proteggere il culto della Spirale, considerata l'entità creatrice del mondo stesso. Dopo un lungo viaggio vengono a contato con uno dei discendenti di quella civiltà,
The Scholar aka Marco Sandron (Pathosray, Eden's Curse). E in un'alternanza tra fede (Tiranti) e scetticismo (Basile), in
"Uncharted" The Scholar li mette in guardia riguardo a quanto di sconosciuto avrebbero trovato nel tempio ("
The Temple", strumentale davvero strepitosa per la qualità tecnica sfornata da ognuno dei singoli musicisti).
E arrivati al suo centro, trovano un portale di pietra a forma elicoidale, davanti al quale si manifesta una presenza, The Purpose (sempre interpretata da Sandron) che li scoraggia nel proseguire. Ma The Believer, spinto anche da The Old One, non gli da retta e fa un passo dentro il portale..("
Inside")
Storia e disco finiscono qui, in un cliffhanger al limite del cinematografico che ci fa ben sperare riguardo un possibile seguito, un qualcosa che ogni attento ascoltatore di questo piccolo capolavoro dovrebbe ritrovarsi, a questo punto, a desiderare ardentemente.
“Where the Road Leads” è in conclusione un gioiello di rara bellezza all’interno del panorama dei concept album di matrice operistica, segno che anche nel nostro paese c’è fantasia, inventiva e voglia di mettersi in gioco con qualcosa di più complesso del “semplice” album. Daniele Liverani con il sottovalutatissimo “Genius: Rock Opera” aveva spianato la strada, Enrico Sidoti coi suoi
Earthcry ci permette di capire esattamente dove questa strada porta..
Quoth the Raven, Nevermore..