Ennesimo progetto frutto di decine di collaborazioni, cantanti più o meno conosciuti che si alternano al microfono e una regia comune con base in Norvegia, capitanata dal bassista Andreas Stensteth.
Un album che più classico non si può: cavalcate epiche, sprazzi di power, mid tempos pomposi. Tutto bello, tutto metalloso, poi c’è pure Kiske, sarà un discone!
E invece no, perché l’indifferenza del primo ascolto lascia addirittura spazio alla noia a partire dal secondo e al nervoso a partire dal terzo. Visto che, come insegna il buon senso, una recensione si dovrebbe scrivere almeno a partire dal terzo ascolto, arrivo a buttare giù queste parole notevolmente irritato da un disco che non ha veramente nulla da dire né a livello di musica, né a livello di testi, né a livello di partecipazioni, né a livello grafico (santo iddio, ma date un occhio alla copertina, è imbarazzante).
Perché mai uno sconosciuto bassista norvegese si sia imbarcato in tale progetto, peraltro arrivando a completarlo, rimane un mistero. Probabilmente ha a disposizione un certo patrimonio da investire a fondo perduto, buona parte del quale credo sia andata a Kiske, che forse ormai canterebbe anche sotto la doccia con me se l’offerta fosse allettante.
Album inutile, statene lontani.
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