Lo ammetto: l’attesa era davvero tanta per questo lavoro dei Crashdiet. Sarà questo, sarà che sono in un periodo in cui musicalmente mi sento fin troppo esigente…ma questo album proprio non mi è piaciuto. Mi è parso costruito a tavolino, troppo poco spontaneo, senza quella sana voglia di rock and roll che viene in mente quando si pensa agli svedesi.
La prima parte dell’album è quella che lascia la maggior parte dei dubbi: si parte con
Change The World e già si capisce che qualcosa non va per il verso giusto. L’opener di un disco hard rock non può infatti richiedere sei o sette ascolti per convincere, deve essere immediata, riconoscibile, catchy.
Si passa poi alle melodie southern ormai stantie di
Cocaine Cowboys, in cui fanno capolino i Black Stone Cherry ma senza la carica che la band statunitense è in grado di offrire. Più diretta ma non certo irresistibile
Anarchy, mentre
California sembra il manifesto di quello che vi dicevo in apertura: compitino a casa svolto in maniera impeccabile seduti al tavolino. In una parola: canonica e fredda.
Lickin’ Dog e
Circus sono invece completamente da dimenticare a mio parere e chiudono una prima parte che meriterebbe sicuramente un voto inferiore al 5.
Per fortuna, dall’ottima
Sin City in poi il disco si rialza di spessore, regalandoci qualche cosetta da ricordare tra cui la migliore track dell’intero lavoro,
Snakes In Paradise.
In chiusura, però, ennesimo piede in fallo con
Garden Of Babylon, la cui melodia orientaleggiante risulta stucchevole fin dai primi passaggi.
Insomma…più aspettative uguale più delusione. Ed è proprio quello che è successo a me al cospetto di questo album. Molti di voi sicuramente saranno fan dei Crashdiet fin dagli esordi, perché di cose buone ne hanno fatte eccome. Andate a sentirvelo prima di comprare a scatola chiusa, può anche darsi che non sarete drastici come me. Per quanto mi riguarda questo è un grosso passo falso, destinato a cadere fin troppo presto nel dimenticatoio.
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