Vatti a fidare dei nomi!
General Lee evoca la Guerra di Secessione, le truppe sudiste, l’epopea di Gettysburgh; ma anche quella serie cult di telefilm trasmessi negli anni ’80, cioè “Hazzard” dove la coppia di protagonisti sfrecciava appunto su un bolide con quel nome (ma la vera star era la procace sorella Daisy Duke, tipa con un
cu…lt memorabile. Nda). Da un gruppo con quel moniker ti aspetti un southern rugginoso, uno sludge fangoso, casomai dello stoner o del country-psych o roba del genere.
Nulla di tutto ciò.
I General Lee non sono neppure americani, bensì francesi del nord. Questo è il loro terzo album e lo stile è un (post) hardcore basato su ben tre chitarristi.
Proposta interessante, che unisce la voce e gli aspetti urticanti del filone con aperture atmosferiche alla Neurosis, Isis, ecc., circondando il tutto di furore caotico. L’iniziale “The witching hour” e la seguente, devastante “Medusa howls with wolves”, esprimono al meglio la sferragliante cattiveria dei transalpini, mentre “Alone with everybody” ed “End of bravery” aprono
qualche spazio a soluzioni più ragionate.
Molto buona anche la lunga “Lvcrft” (che presumo sia il
codice fiscale dello scrittore Lovercraft) dove l’influenza dei gruppi citati risulta palese e subentra una gelida calma dall’incedere mesmerico. Chiude una “Running with sharp scissors” che ribadisce la formula alternando fasi rallentate ad esplosioni di furia rabbiosa.
Sebbene le chitarre siano addirittura tre, non aspettatevi fughe jammistiche o duelli solistici. Il sound dei General Lee è progettato per offrire un compatto muro di cemento armato, che s’inspessisce o si assottiglia a seconda delle esigenze di ogni singolo brano. Peccato per il minutaggio piuttosto esiguo, ma gli appassionati del moderno hardcore non devono farselo sfuggire.
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