Yeah, godo sempre quando mi capita tra le mani un disco come questo qui… Sì, perché dopo tanto thrash, hardcore, death e chi più ne ha più ne metta, è sempre un piacere ascoltare un po’ di sano e robusto rock ‘n’ roll, puro e incontaminato. Nati come cover band e successivamente divenuti tribute band degli AC/DC, gli
On-Off ad un certo punto della loro carriera decidono di fare il grande passo e di pubblicare, nel 2010, un album di inediti,
Ribcrasher. Due anni dopo è la volta di un nuovo capitolo, questo “Don’t forget the roll”, dal titolo quanto mai esplicativo. Beh, cosa dire… sicuramente l’influenza degli AC/DC si sente tutta nelle composizioni del gruppo di Busto Arstizio, ma i nostri sono stati bravi nel prendere il lavoro di Angus Young e soci solo come punto di partenza, per poi ricamarci su, e arricchirlo con altre influenze, ovviamente sempre seventies. Parliamoci chiaramente, un disco del genere non può avere nessun tipo di pretesa, il suo unico scopo è e deve essere quello di divertire, e in questo il centro è stato decisamente colpito, con pezzi scanzonati e frizzanti (date un’occhiata ai titoli, uno su tutti “Don’t put your finger (in every hole you find)” per avere un’idea). Undici tracce di sano hard rock, dal sapore marcatamente rock ‘n’ roll, come già detto, che partono in quarta con “Another bone to suck”, e proseguono alla grande con “That’s what I call rock ‘n’ roll”, con il classico tempo in 4/4 tanto caro alla band australiana, e, di conseguenza, ai nostri. Niente fronzoli, niente sonorità laccate, solo riffoni granitici, ottimi assoli di chitarra, ottima prova del singer, che riesce a distanziarsi tanto da Bon Scott quanto da Brian Johnson, tanto sudore, e perché no, anche una buona dose di blues, come per esempio in “On the railroad”. Per quanto possa essere derivativo, come rimanere col piede fermo ascoltando l’hard boogie di “Catch the bunny”? Certo, qualcuno di voi potrebbe obiettare che la parte centrale dell’album non sia all’altezza dell’inizio o dei due brani finali. Effettivamente è vero, ci sono due o tre brani che sono leggermente inferiori rispetto agli altri, che non hanno quel piglio scanzonato e risultano quindi un po’ sottotono. Tutto sommato ci si può passare su, visto che, ricordiamo, stiamo parlando del secondo lavoro di un gruppo emergente, di certo non di una band che è in giro da trent’anni, quindi qualche peccato veniale ci sta tutto. È ovvio che gli On-Off debbano ancora maturare sotto certi aspetti, ma vi assicuro che la via è certamente quella giusta, e sono sicuro che col prossimo disco i nostri riusciranno a raggiungere quel grado di maturità che gli permetterà di entrare a testa alta nella scena hard rock italiana. Per il momento mi riascolto volentieri il disco, per passare tra quarti d’ora in allegria e spensieratezza… e di questi tempi scusate se è poco…
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?