Allora, da dove iniziamo … dall’orgoglio che si prova inevitabilmente nel vedere il vessillo tricolore fare bello sfoggio di sé accanto al
monicker dei
Lionville nel promo fornitoci (tramite il distributore Frontiers …) dall’autorevole Avenue Of Allies o dalla soddisfazione nel vedere i nomi di (straordinari) musicisti italiani affiancati senza timori reverenziali a quelli dei loro prestigiosi colleghi stranieri?
Fermo restando il latente moto di “rivalsa” che alimenta chi si ricorda quando l’
AOR del Belpaese era per molti imbelli solo una “stranezza” magari gradevole ma dalle ambizioni limitate, direi di escludere (o almeno impegnarsi strenuamente nel tentare di farlo …) dall’analisi tale suggestione e passare direttamente a trattare del valore di questo “II”, chiamato a confermare, e senza l’ausilio “dell’effetto sorpresa”, il livello stratosferico di un debutto che moltissimi
rockers melodici (di ogni nazionalità!) hanno inserito di diritto nelle loro
top playlist annuali.
Ebbene, “II” è un albo ancora una volta strepitoso, forse leggermente meno esuberante del suo predecessore e tuttavia nobilitato da una maturità tecnico-interpretativa che nell’impegnativo confronto lo vede addirittura più equilibrato e coeso, cancellando ogni possibile rischio di piccola disomogeneità tipica dei progetti ad elevato numero di protagonisti.
L’impeccabile lavoro di arrangiamento (appannaggio del
mastermind Stefano Lionetti e del favoloso Alessandro Del Vecchio) s’incastona perfettamente con una fase compositiva semplicemente esemplare, e con l’aggiunta di un gusto e di una tecnica esecutiva impeccabili, il quadro complessivo si offre ai tanti appassionati del genere con le caratteristiche di un’opera d’arte
figlia incontestabile di una grande “scuola sonora” (Toto, Journey, Chicago, Blvd, Survivor, Giant, …) e tuttavia dal carisma e dalla classe incontrovertibile, animata dai medesimi nobili presupposti senza per questo apparire minimamente caricaturale.
Beh, ad onor del vero, non siamo ancora, forse, al cospetto di una situazione tale da “scomodare” il famoso e leggendario episodio che vede coinvolti Giotto e Cimabue, celebre parafrasi del classico concetto de “
l’allievo che supera il maestro”, ma quel che è certo è che i Lionville non hanno più
moltissimo da “imparare” dai loro precettori, verosimilmente lieti di aver contribuito a formare un discepolo così abile, ricettivo e sagace.
Un impressionante schieramento d’importantissimi interpreti del genere, pilotati dal fenomeno Leonetti e contemporaneamente illuminati dalla scintillante voce di Lars Säfsund, realizza una raccolta di momenti di enorme rilievo artistico, in cui dosi scrupolose di melodia, energia e sensibilità, rendono davvero impossibile stilare delle classifiche di merito o operare delle plausibili selezioni critiche.
Ecco, probabilmente, alla fine, mi sentirei di stigmatizzare solo la presenza del
remake di “Waiting for a star to fall” dei Boy Meets Girl, non tanto per i suoi (de)meriti intrinseci o per la (deliziosa) maniera in cui la canzone viene riproposta, bensì perché toglie spazio ad una capacità creativa “originale” certamente
superiore.
Una scelta “vera”, però, in ultima analisi, decido di farla, ritenendola utile a focalizzare le mosse di eventuali “indecisi” o “avventori occasionali” … ascoltate primariamente “Higher” (con il veterano Champlin sugli scudi …) e se non provate un brivido d’intensa pienezza
cardio-uditiva, interrompete pure l’audizione … o avete sbagliato settore musicale o avete l’urgente bisogno di una visita otorinologica.
Per tutti gli altri, la prosecuzione dell’operazione (cominciando, magari, da “All we need”, “The only way is up” e da “Next to me”… tanto lo so che mescolerete i brani nei vostri infernali
Ipod, in modo “detestabile” e “snaturante” …) riserverà altri momenti di puro godimento, dai quali si esce veramente “migliori” e maggiormente bendisposti anche di fronte alle traversie del vivere quotidiano.
In conclusione, lasciatemi ritornare a quelle considerazioni evocate nello
incipit della disamina e faticosamente scacciate dall’esame “oggettivo” del disco … ebbene, oggi, magari pure con un pizzico di retorica, sono un po’ più fiero di essere italiano e “purtroppo” questo accade per i meriti di una cosa “futile” chiamata musica.