Non so se molti di voi ricorderanno i Vanize, onesta band tedesca di speed metal molto derivativo che vedeva nelle proprie fila la presenza di Peter Dirkshneider fratellino del più famoso Udo (tra l’altro omaggiato con la cover di “Predator” nel tributo agli Accept del 2001); ebbene l’ossatura di questa nuova band di metal melodico è costituita proprio da tre ex-componenti di quella formazione, con l’ausilio di Chris Heun (ex- Shylock) alle chitarre e soprattutto di Stefan Berggren alla voce, proveniente dai Company Of Snakes (con due istituzioni come Mickey Moody e Bernie Marsden) dopo l’esperienza negli Snakes In Paradise - due gruppi fortemente devoti al culto dei Whitesnake -, consigliato al leader dei Razorback, Rolf Munkes (anche Majesty tra i suoi credits), nientemeno che da Neil Murray, che con il singer svedese aveva lavorato proprio nei Company of Snakes. “Animal anger” è quindi il debutto per i Razorback i quali si presentano al pubblico proponendo un metal melodico nel quale è molto rilevante l’influenza hard rock, con qualche puntata nell’hard blues, semplice nelle sue strutture, ma altresì molto spesso dai risultati vincenti. “The hymn” non è il modo migliore di introdurci all’ascolto dell’album; la canzone è discreta, ma lo speed metal tipicamente teutonico da un lato e le melodie “svedesi” dall’altro non sono (fortunatamente) del tutto indicative della musica che potremo trovare nel prosieguo del platter. In “One by one”, infatti, vi è un significativo salto di qualità, in cui Stefan Berggren offre una prova di grande risalto, riuscendo a scrollarsi di dosso la nomea prestigiosa ma anche scomoda di “nuovo” Coverdale, risalente alle sue passate esperienze; il pezzo è un hard rock mid-tempo caratterizzato anche da un breve guitar solo eseguito con gusto e pregevole tecnica. “A new king in town”, dai suoni più “epici”, ricorda, fin dal titolo, i Rainbow con Dio alla voce o ancora di più le sonorità proposte dal mitico Ronnie James nelle sue migliori prestazioni soliste, con Stefan Berggren a dimostrare una duttilità veramente notevole. Con la seguente “Kiss of death” ritornano linee melodiche più lineari e l’heavy rock maggiormente radiofonico, mentre in “Fire and rain” class metal e hard rock si fondono in una traccia in cui si evidenziano guitar riffs dalla struttura molto classica, un buon lavoro di tastiere in sottofondo e vocals valide e molto accattivanti. “Release me” è una rocciosa fast track decisamente buona, anche se un po’ scontata, dal drumming possente, con le chitarre in bella evidenza e approccio vocale ancora un po’ “Dio docet”. “Lone wolf” è un altro buon episodio di heavy metal mid-tempo dall’apprezzabile guitar work e la successiva “Eye of the storm” si segnala per la fusione tra hard rock e class metal “ottantiano”, in cui musicalmente un’influenza primaria sembrano essere i grandissimi Dokken. In “Bastard” ritorna lo Stefan Berggren che conoscevamo, con un brano di splendido hard-blues che ricorda sia i Whitesnake sia, a tratti, i Deep Purple con Coverdale alla voce, arricchito da robuste iniezioni di metal anni ’80. Ancora influenza Whitesnake anche per l’intensa ballad finale “Dead man’s song”, dall’anima bluesy e caratterizzata da un’ammaliante chitarra acustica, una buona prova vocale, il tutto sostenuto da un tappeto di tastiere semplice ma efficace.
Giudizio finale quindi sicuramente positivo anche per questi Razorback, i quali, a parte qualche situazione un po’ più deboluccia, hanno sfornato un debutto abbastanza convincente. Sono sicuro che se sapranno focalizzare un po’ meglio le loro indubbie qualità, soprattutto nel songwriting e nella direzione musicale da seguire, accentuando magari maggiormente la componente più tipicamente hard rock, le loro prove future ci potranno riservare delle piacevolissime sorprese.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?