Abbastanza singolare ma estremamente intrigante questo secondo lavoro degli svedesi Token.
Il loro primo disco, “Tomorrowland”, del 2002, era un buon prodotto da annoverare all’interno della tipica produzione svedese di gradevole (ma ormai un po’ in saturazione) mix tra hard rock e AOR, in cui emergeva il talento vocale di H.B. Anderson, noto per le sue collaborazioni eccellenti (John Norum, Alien, Madison, Talk Of The Town …) e per aver cantato nell’album “Walking through mirrors” degli Scudiero.
Anno 2004: fuori Anderson e il drummer Pontus Ageryd e dentro i nuovi Mattias Ahlen (una vera sorpresa) alla voce e Patrik Johansson (ex-Malmsteen) alla batteria, ad affiancare Johan Sjoberg, Mikael Rosengren (Scudiero, Damned Nation) e Niclas Holmkvist, e nuova direzione musicale. I Token, infatti, rinnovano il loro stile, riproponendo l’interessante fusione tra i generi che caratterizzava il loro debutto, affrontandola però oggi con approccio decisamente più “moderno” e aggiungendo inedite ispirazioni; ecco quindi che l’hard rock diventa più “fisico” e “metallico” e l’AOR si arricchisce di nuove sfumature al limite del progressive, e il tutto viene amalgamato con alcune influenze derivanti direttamente dal pop più “distorto” e rockeggiante. A partire dall’iniziale (dopo il breve intro “Punch in”) “Tear down the wall”, potente e solida, è subito evidente l’attitudine “modernista” che s’insinua nel suono dei nostri, soprattutto nella qualità dei guitar riffs e se, l’incalzante e melodica (nel coro) “Free I’m gonna roll”, risulta un po’ più canonica, la successiva “Sometimes”, è veramente splendida nell’atmosfera che riesce a creare, mescolando AOR mutante (ottimo il lavoro svolto dalle tastiere) e pop rock “illuminato”, con Ahlen in evidenza. Si arriva così a “Wake up” nel quale viene ancora più accentuata la componente moderna del nuovo corso dei Token: vocals recitate sul tappeto di chitarra “mainstream metal” e interventi di synth riconducibili al “nu-sound” del rock alternativo.“Falling” è una magistrale esibizione di come chitarre pesanti, un’azzeccata melodia, un’ottima voce, tastiere ispirate e un buon guitar solo finale siano in grado di comporre una bellissima traccia dal tocco vagamente prog. Con “Dreaming” i Token si ricordano di essere svedesi e il risultato e un’altra stupenda song, molto hard melodico scandinavo, dall’ispirazione un po’ Malmsteeniana. Stesso punto di partenza anche per “On the move”, ma questa volta le chitarre si fanno leggermente più heavy e le tastiere creano un groove orientaleggiante, sul quale si spiega tutta la gamma dei duttili registri vocali del nuovo cantante della band. La ballata “Save me”, dall’indiscutibile appeal commerciale, ricorda un po’ certi nuovi gruppi di melodic gothic da classifica, così come in “Media doll” è palese l’influenza dell’alternative pop scandinavo che tanta fortuna sta avendo nelle chart di mezzo mondo (The Rasmus in primis): i risultati in entrambi i casi non sono assolutamente da buttare. “The sin” è un’altra traccia di heavy cadenzato, caratterizzato dal solito prezioso lavoro svolto ai tasti d’avorio da Rosengren e alle chitarre da Sjoberg. Con “Can’t heal” ritorna in modo significativo la melodia accattivante di scuola nord-europea, insieme all’hard commerciale statunitense anni ‘80, mentre in “Turn back the time” bellissime e discrete tastiere si scontrano con guitar work robusto, esemplare linea armonica e la solita eccellente laringe di Mr. Ahlen.
C’è ancora spazio per l’outro “Punch out” e per il video di “Tear down the wall”.
Come sempre, nei casi in cui si assiste a un cambiamento nello stile musicale e soprattutto se questo coinvolge generi “autoctoni” che difficilmente prevedono molte variazioni alla struttura base, è difficile prevedere se lo “zoccolo duro” dei sostenitori del gruppo, sarà in grado di assimilare completamente la nuova direzione.
Nel caso specifico credo che le modifiche apportate al sound dei Token (tenendo conto che buona parte delle loro caratteristiche peculiari sono state mantenute e solamente interpretate con un diverso atteggiamento) abbiano sicuramente giovato all’efficacia della proposta, ottenendo “freschezza” senza stravolgimenti e che questo nuovo approccio maggiormente “aggiornato” appaia sviluppato in modo non eccessivamente ruffiano o traumatico.
E’ anche vero che alcuni episodi potrebbero essere meglio focalizzati e che un po’ di coesione in più avrebbe consentito di ottenere esiti ancora superiori e quindi speriamo che l’accoglienza del mercato discografico sia tale da consentire la continuazione del processo di maturazione che i nostri swedish rockers hanno intrapreso.
“Punch” è uno di quei cazzotti, che magari non ti stendono al primo colpo, ma i cui effetti si fanno “sentire” (notare l’”ardita” metafora) per lungo tempo…
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