A due anni di distanza dal debut autoprodotto Soul Divided tornano i toscani
Disbeliever, questa volta per Dreamcell. Il genere proposto sul secondo lavoro è un gothic metal moderno, sullo stile dei Paradise Lost di Host o Symbol of Life. Riff di chitarra potenti ma melodici, atmosfere malinconiche e romantiche in senso letterario, tante strizzate d'occhio all'elettronica dei Depeche Mode e ad una dark wave orecchiabile (in senso positivo). I pezzi che ho trovato migliori sono
Ordinary Way,
Into Eternity e
Hopelight Fading (con un inizio di tastiere che mi ha curiosamente ricordato quelle di Killer di Seal remixato da Adamski). La prima è un riuscito mix fra le tastiere alla Depeche, riffoni di chitarra ed è estremamente orecchiabile e ballabile; la seconda tende più ai Paradise Lost, alternando anche cantato pulito e growl; la terza è incalzante e piena di pathos, mi piace molto il refrain. La musica di
The Dark Days ha strutture semplici e ripetitive, i brani sono carini ma non sembrano mai decollare, restando anonimi. La produzione non giova, mantenendo strumenti e voce a volumi bassi (la batteria si perde del tutto), in un genere che, invece, richiede arrangiamenti curati ed una certa enfasi sonora. Sembra di sentire una band che abbia preso in mano da poco gli strumenti e cerchi di suonare brani "alla maniera di...". Ed è un vero peccato, perché l'album di debutto era nettamente superiore, sia come produzione (in grado di valorizzare gli strumenti e la voce) che dal punto di vista tecnico compositivo. Di la, anziché il lato elettronico, era presente quello sinfonico, con violini e pianoforti che richiamavano i My Dying Bride; di pari passo lo stile era più tendente al death doom e la voce più gridata. Le strutture erano sempre un po' troppo semplici, ma il risultato finale molto più appassionante. Le premesse erano buone, cosa è successo?
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