Lo scorso anno abbiamo parlato parecchio di questa formazione britannica, ascesa al rango di cult-band nell’underground doom. Siccome però la sua storia è particolare, con un certo grado di confusione, ritengo sia meglio ricapitolare la situazione.
I
Pagan Altar sono stati formati nel lontano 1976 da Alan e Terry Jones, rispettivamente chitarrista e vocalist del gruppo. Si tratta di uno dei pochi nomi, in ambito NWOBHM, ad aver puntato sul doom di matrice Sabbathiana, unendo un sound molto heavy a tematiche occulte e misteriche. Purtroppo all’epoca riuscirono a realizzare soltanto una cassetta demo ( le cassettine a nastro, sembra preistoria! Eppure qualcuno c’era già, purtroppo…nda.) venduta direttamente ai concerti, ed in seguito uscì qualche rarissimo bootleg in vinile.
Il vero album d’esordio è invece stato pubblicato nel 1998, con titolo “Volume 1”, dalla Oracle Records. Ma il gruppo non era più attivo da tempo. Nel 2004 c’è stata la reunion ed il secondo full-lenght “Lord of hypocrisy”, che sfruttava materiale inedito composto negli anni ’80. Due anni dopo è la volta di “Mythical & magical”, ristampato ora dalla succitata etichetta, che ottiene grande riscontro tra gli appassionati del genere.
Nel 2008 i Pagan Altar sono co-headliner con i Cloven Hoof al “Metal Brew” festival, mentre lo scorso anno escono le versioni rimasterizzate dei lavori “The time lord” e “Judgement of the dead”. Viene anche registrato un nuovo disco, “Never quite dead”, che sarà disponibile tra poco.
Questo è quanto.
Riguardo al presente album, possiamo dire che rappresenta l’apice compositivo dei doomsters inglesi. Un’ora di scintillante heavy metal ottantiano, pieno di affascinanti atmosfere brumose ed ossianiche, con un tocco di magìa popolare albionica in sottofondo. Ciascun brano verte su una specifica figura della tradizione britannica leggendaria e rurale, dalla banshee ai druidi, dalle streghe all’incantatore, ecc, con quel mood lievemente e piacevolmente retrò che rende speciale questo tipo di formazioni. Sempre sugli scudi i solismi ispirati di Alan Jones e la voce di Terry, non certo un’ugola d’oro, ma perfetta nel contesto. I brani sono corposi e ben equilibrati tra spunti energici e brevi passaggi evocativi, sostenuti dalla solidità ritmica che era caratteristica fondamentale della prima ondata di metal britannico.
In definitiva, altra perla dei Pagan Altar, band che si riprende oggi ciò che le circostanze hanno negato trent’anni fa.
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