Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2021
Durata:60 min.
Etichetta:Sleeping Church Records

Tracklist

  1. DEAD LEG
  2. RELICS
  3. DOWN IT OR LEAVE IT
  4. WEEDY GONZALES
  5. EL DUCE
  6. POST, CROSS AND YOKE
  7. MOOD BREWER
  8. FOCKE WULF

Line up

  • Pierre: bass, vocals
  • Marc: drums

Voto medio utenti

L'avventura degli Atolah comincia nel 2007 a Perth, Australia, dove questa band strumentale muove i suoi primi passi. Due anni dopo esce l'Ep "Relics" per PsycheDOOMelic. Poi il fondatore Pierre-Francois decide di trasferirsi in Europa, nei Paesi Bassi, reclutando sul posto una nuova line-up. Nel 2012 viene registrato "Post, cross and yoke", altro Ep di tre brani, ma subito dopo la formazione si scioglie.
Arriviamo quindi al 2020, quando gli Atolah tornano in vita nuovamente all'origine, cioè Melbourne. Ora, finalmente, la Sleeping Church permette l'uscita in formato fisico di questo lavoro, che in pratica è l'unione dei due Ep precedenti sotto il titolo del secondo.

Il sound del trio è una colata di cemento sludge asfissiante. Pensate agli Sleep, agli Electric Wizard più catatonici, ai Bongripper, ma in formulazione ancora più pesante, distorta e comatosa. Un gorgo di bassi squassanti, lentezza tossica, opprimenza da colata lavica. In alcuni momenti si ha la sensazione di essere investiti da un asteroide di pura disperazione e sfinimento dei sensi.
Tonnellaggio ultra-heavy ed attitudine sludge all'ennesima potenza, ma scopriamo anche che se i brani di "Relics" (i primi cinque) erano integralmente strumentali quelli di "Post, cross and yoke" prevedono l'apporto vocale. Vocals narcotiche, ritualistiche, molto Sleep, ma che offrono comunque un buon appiglio per non sprofondare completamente nel magma sonico.
Inoltre è evidente che l'Ep del 2012 mostra anche una maturazione sotto l'aspetto strutturale: meno caos, meno distorsione, maggiore attenzione nell'inserire passaggi e vibrazioni acid-heavy, pur restando saldamente coerenti ad uno stile per gente che vuole essere schiacciata dalla gravità di un buco nero. I quindici minuti della conclusiva "Focke wulf" sono una sfida alla "Dopesmoker", di una brutalità cavernicola con atmosfera da overdose di psicofarmaci.
Nel suo genere è un lavoro che ottiene l'effetto voluto, pur essendo materiale datato. Torbido, denso e marcio. Lento, pachidermico e sfibrante. Nulla di realmente sorprendente, ma senz'altro una bella mazzata sonica. Se amate lo sludge estremo, un'ora spesa bene.

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