Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2004
Durata:52 min.
Etichetta:Hellion Records

Tracklist

  1. MEMORIES
  2. THE ANCIENT LORD
  3. THE MOST PART OF THE MEN
  4. ARTHUR
  5. CELTIC LANDS
  6. BABYLON FIRE
  7. THE GRAY OUTSIDE
  8. ROMANS AND CELTS
  9. THE SOLDIER AND THE SKY
  10. FAIRIES
  11. WINTER

Line up

  • Rick Anderson: vocals
  • Andy "Menario" Menarini: guitars, keyboards
  • Maurizio Capitini: drums
  • Derek Maniscalco: bass

Voto medio utenti

Curiosità e parecchie aspettative “attanagliano” il sottoscritto mentre si appresta ad ascoltare questo disco dei romani Martiria.
I motivi? Beh… essenzialmente per il tipo di musica che i nostri eseguono, quell’epic metal che ha spesso allietato i miei ascolti, poi perché uno dei membri della band (il drummer Maurizio Capitini) è stato collaboratore degli storici Astaroth, infine, “last but not least”, perché in questo platter le parti vocali sono affidate a Rick Anderson ex-Warlord.
Partiamo proprio da quest’ultima considerazione… non so quanti di voi hanno vissuto personalmente la gloriosa epopea del gruppo statunitense (da non confondersi con la sbiadita riproposizione di “Rising out of the ashes”, del 2002, con l’Hammerfall Joacim Cans alla voce) e l’alone di magico mistero che lo circondava, con i componenti che erano conosciuti solo con altisonanti nick-names e che non si era mai esibito dal vivo.
Un mini, “Deliver us”, un full-length, “ …And the cannons of destruction have begun…”, un singolo, “Aliens”, e la partecipazione al blasonato “Metal Massacre” (con il brano “Mrs. Victoria”), furono sufficienti a creare e ad alimentare “il mito”. Certamente non tutti apprezzarono l’epic metal melodico che “Destroyer” (chitarra), “Thunder Child” (batteria), “The Raven / Archangel” (basso), “Damien King” (voce) e “Sentinel” (tastiere) proponevano (ricordo ancora l’arrabbiatura che mi procurò l’impietosa stroncatura che una delle due testate italiane dedicate all’heavy metal allora disponibili, riservò a “Thy kingdome come”, dell’86, prima raccolta dedicata ai californiani), ma personalmente ne fui subito entusiasmato.
Il genere musicale che i Martiria propongono poi, è una gradita sorpresa, essendo uno stile che, recentemente, in Italia (benché si siano segnalate spesso ottime formazioni italiche portatrici di tali sonorità, cominciando dai Dark Quarterer e dagli Adramelch, arrivando ai Doomsword), si è mantenuto un po’ lontano “dai riflettori” a favore di un ormai inflazionato speed power sinfonico … e che dire degli Astaroth, un altro dei grandi rimpianti del metal nostrano, originali a partire dalla scelta di non rifarsi visivamente a modelli stranieri (magari anche meno ricchi di “storia”), utilizzando un’immagine ispirata all’Impero Romano, fino alla musica eseguita, un heavy metal diretto ed “oscuro” che consentì loro di ottenere un contratto con la belga Rave-on, realizzare un buon mini Lp, “The long loud silence”, e intraprendere una tournee negli Stati Uniti, che purtroppo non portò i frutti sperati.
Astaroth e Warlord, quindi… e se dai primi i Martiria hanno solamente mutuato un po’ di quella “romanità” che li porta a rappresentare, sulla front cover di questo “The eternal soul”, una bella immagine del Colosseo, è invece dei secondi che bisogna parlare per individuare la loro principale influenza sonora: atmosfere gotico-medievali, metallo epico e poetico avvolto da una coltre “darkeggiante” sono le principali caratteristiche che accomunano le due band, con il chitarrista Andy “Menario” Menarini a rammentare talvolta il fraseggio e l’ispirato solismo di Bill “Destroyer” Tsamis (anche Lordian Guard) e il batterista Capitini (anche preparato ingegnere del suono del progetto Martiria), che ricorda, a tratti, lo stile fantasioso di Mark “Thunder Child” Zonder (senza magari raggiungerne ancora le vette esecutive), che proseguirà la sua esibizione tecnica nei Fates Warning … e poi la voce … se Anderson era stato scelto per impersonare il ruolo di “Damien King III”, durante l’ultimo periodo di vita dei Warlord, qualche ragione ci sarà!
Stiamo parlando d’ispirazione e non di clonazione; infatti i romani inseriscono nel loro suono, anche preziosi inserti acustici e porzioni di cantato lirico. Dopo il “classicissimo” intro di “Memories” e l’intenso epic elettro/acustico di “The ancient lord”, si arriva al fascino incantatore di “The most part of the men”, dove la linea melodica delle tastiere (suonate dallo stesso Menarini) e il possente guitar riff fungono da viatico alle evocative vocals di Anderson … grande pezzo! “Arthur” è un tempo medio di discreta efficacia, mentre “Celtic lands”, dall’introduzione acustica, esplode in un maestoso episodio in cui l’arcana melodia e la potente struttura base ne fanno un altro brano degno di menzione particolare. “Babylon fire” è un’incantevole ballata (che s’incattivisce un po’ con l’ingresso di chitarra elettrica e tastiere) con il menestrello Anderson a farla da padrone e in “The gray outside” l’influenza dei “Signori della guerra”, diventa, a tratti, molto presente, soprattutto a livello di approccio strumentale, così come accade nella linea chitarristica portante dell’incalzante “Fairies”. L’epicissima “Roman and Celts”, introdotta e conclusa da vocals liriche, ci mostra, ancora una volta le buone capacità compositive dei Martiria, con Menario e il solito singer autori di performances di rilievo. L’ex-Damien King è nuovamente protagonista nella sontuosa “The soldier and the sky” e con la magia rinascimentale di “Winter”, marchiata a fuoco da un’ispiratissimo guitar solo e in cui ritorna il cantato operistico, si chiude un album veramente ottimo.
Un solo piccolo appunto … gli interventi vocali di baritoni o tenori, sebbene aumentino la “solennità” e la “teatralità”, appaiono, a mio parere, generalmente un po’ troppo “forzati” e nel caso della musica dei capitolini, già molto interessante nella sua esposizione originale, non aggiungono nulla e, nonostante siano abbastanza sporadici, rischiano di “appesantire” inutilmente la loro proposta.
In conclusione, credo che sia assolutamente necessario premiare la bravura dei Martiria e la loro coerenza, che li ha portati, nel 2004, a proporre questi suoni, così distanti dalle preferenze e dagli appetiti commerciali del mercato discografico.
Il gruppo merita, quindi, tutta la Vostra attenzione e spero che la ottenga, poiché diventare un’altra “cult band” potrà essere appagante dal punto di vista artistico ma di certo non aiuta a continuare la propria attività musicale o a pagare le bollette …
Recensione a cura di Marco Aimasso

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