Gli
Spiritual Beggars festeggiano i vent’anni di carriera (però, come passa il tempo...) pubblicando l’ottavo lavoro, secondo con il nuovo cantante Apollo Papathanasio, ex-Firewind. E proprio il vocalist è uno dei punti di forza del nuovo album, grazie ad una prestazione assolutamente convincente. Timbro virile e graffiante, ma ottimo anche nelle sezioni melodiche, Apollo appare meglio inserito rispetto alla volta precedente e più cosciente dei propri mezzi e della propria personalità. Se poi ci aggiungiamo il perenne stato di forma di Amott, capace di illuminare tanto gli Arch Enemy quanto questo suo progetto classic rock, la qualità della sezione ritmica del duo D’Angelo/Witt, ed il respiro settantiano delle tastiere di Per Wiberg, ne risulta per l’ennesima volta un “must” per ogni appassionato del grande hard rock da manuale.
“Earth blues” è più brillante e vario rispetto a “Return to zero”, sebbene nello stile del gruppo siano un po’ più marcate le influenze che tutti possiamo riconoscere: Black Sabbath, Deep Purple, Rainbow, Atomic Rooster, ecc. Ad esempio “Hello sorrow” e soprattutto “Kingmaker” sembrano quasi omaggi all’immenso Jon Lord ed al suo inconfondibile Hammond-style, mentre “Dreamer” è uno slow blues che rievoca una certa “Mistreated” e lo fa senza trovarsi in imbarazzo. Poi si confermano i classici pezzi rocciosi e pieni di groove, quasi un marchio di fabbrica, vedi “Wise as a serpent”, “One man’s curse”, l’irruenta “Too old to die young” (titolo che diventerà un mio motto personale…nda), ed ancora “Road to madness”. Ma le canzoni sono tutte valide e non affiorano riempitivi né tentativi di allungare il brodo, cosa niente affatto scontata per un disco di cinquanta minuti.
Certo è sparito il feeling psichedelico degli esordi, ma il fatto è stato ormai metabolizzato da chi ha seguito la formazione scandinava per l’intera carriera. Oggi gli Spiritual Beggars sono una magnifica hard rock band dal tiro assai “british”, con un songwriting sempre di altissimo livello ed una capacità tecnica assai superiore alla media contemporanea.
Allora, cosa chiedere di più?
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