Evidentemente qualcuno considera questa formazione così popolare ed inconfondibile da non richiedere nemmeno l’invio di benchè minima nota biografica o notizia che possa integrare l’ascolto del dischetto.
Magari è cosa voluta, per non condizionare il giudizio finale con elementi estranei alla pura musica, ma io sono una persona curiosa e mi piace capire con chi ho a che fare. Un po’ di ricerca personale ed il velo di mistero si solleva, scoprendo che effettivamente il gruppo gode di notevole fama soprattutto tra i teen-agers americani. Fama ottenuta non grazie a massacranti tours nei piccoli locali per “farsi le ossa”, bensì per la loro costante collaborazione al serial televisivo “Buffy the vampire slayer”, un cult per i giovanissimi dove i Four Star Mary hanno rifornito di canzoni la band fittizia di uno dei protagonisti della serie (per chi se ne intende si tratta di tale Oz e dei suoi “Dingoes ate my baby” !?!).
Visto il successo dell’operazione, la musica dei FSM è stata inserita anche in altri programmi per adolescenti (“Party of five”,”The real world”) scatenando l’entusiasmo di orde di ragazzine che li hanno elevati al rango di music-heroes del momento. Conseguenza naturale è stata la realizzazione di un primo full-lenght (“Thrown to the wolves”) che negli Usa ha venduto un numero considerevole di copie, trascinato dal singolo “Dilate”, ed ora è il momento del suo seguito, il presente “Welcome home”. E’ facile capire che, visto il target di pubblico al quale si rivolge il quintetto, la loro proposta musicale è molto semplice, disimpegnata, commerciale e di facile assimilazione. Un pop-rock vaporoso e senza complicazioni, con tanta melodia e coretti radiofonici, ritornelli immediati facili da canticchiare dopo soltanto un paio d’ascolti, con il sottofondo di chitarre appena graffianti per venire incontro alle tendenze più in voga del periodo. Tutto è basato sull’interpretazione vocale di Tad Looney, che gioca ad imitare (molto alla lontana) il gigante Bono degli U2, soprattutto negli episodi più romantici e struggenti come le ballate “Strangled”, tentativo di azzeccare il singolone, e la conclusiva “Stars come down”, dolce love-song acustica. Nelle altre canzoni si colgono lievi accenni di easy-punk statunitense alla X, Distillers e consimili e qualche ritaglio di rock diretto con un evanescente sentore del supergruppo irlandese già citato. Innegabile che brani come “All I see” e “Hold me”, con i loro scanzonati ritmi scacciapensieri, o le morbidezze agrodolci e sentimentali di “Darker days”,”Drown” ed “Empty”, altro pezzo che potrà spopolare nelle pop-charts, possiedano l’orecchiabilità necessaria per catturare l’interesse di coloro che cercano una musica che sfiori appena il rock senza la minima asperità o ruvidezza. Una manciata di canzoni buone per qualche lacrimuccia e per sfoderare sospiri ed accendini durante i concerti. Altrettanto vero che in questo “Welcome home” alla fine i brani risultino troppo simili tra loro. Identica struttura, identico andamento, forte sensazione di monotonia, assenza di episodi realmente vincenti in un lavoro tanto levigato e pianificato quanto esile e piatto. Avendo superato le cottarelle adolescenziali da un bel pezzo e non avendo seguito nemmeno una puntata della simpatica Buffy, il fascino che mi provocano i FSM rasenta lo zero. Non parlerei neppure di album da evitare, semplicemente la recensione del disco più che ad EUTK appartiene a “Ragazza moderna” o “Tutto musica”, visto che il mitico e melenso “Ciao 2001” ha cessato di esistere. I terribili metalheads che frequentano il nostro sito non troveranno alcun motivo d’interesse in questo impalpabile cd.
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