I nuovi Def Leppard (come qualcuno ha pronosticato)?
Beh, no, per quello,
forse, ci sono già i Grand Design, ma è innegabile che il
Leopardo Sordo britannico ha interpretato un ruolo importante nella formazione musicale dei
De La Cruz, ennesima scoperta di casa Frontiers.
Aggiungete dosi importanti di Firehouse, Vinnie Vincent Invasion, Skid Row, Kiss, Motley Crue, Ratt ed avrete un’idea chiara di quale sia il campo d’azione dei nostri australiani, alimentati da un’incontenibile voglia di “anni ‘80”, in particolare di quelli più sfrenati, lussuriosi e disimpegnati.
Niente di particolarmente “inatteso”, dunque, in questi anni di
revival, plausibile frutto di un fenomeno ciclico di “corsi e ricorsi” tipico della storia del
rock, eppure anche in assenza di autentiche “sorprese” è necessario rilevare la notevole vivacità e la destrezza con cui i De La Cruz si allineano ad un
trend abbastanza diffuso, illuminando le loro “familiari” composizioni con la forza di un
feeling intenso ed energico, arrivando a lambire il pieno inebriamento sensoriale.
E allora via con le atmosfere esplosive e dissolute del
Sunset Strip che fu, innescate dalla miccia della
title-track, vibrante interpolazione Motley Crue / GnR / Skid Row, sobillate da una quasi totalmente Ratt-
iana “Girls go wild” e corroborate da una “Turn it up” in cui, assieme alle già documentate influenze, si scorge pure un tenue bagliore
anthemico figlio degli specialisti Twisted Sister.
“Legions of love” sfida apertamente Pelle Saether e i suoi
pards nella competizione per il migliore
Def-clone della scena contemporanea e anche la successiva “Gimme love”, con la sua insinuante melodia, non sarebbe fuori luogo nell’eventuale tenzone.
“Cherry bomb”, “Dreaming” e la deliziosa “Set the night” sono puro
street rock n’ roll “radiofonico”, “Invincible” mescola con spiccato buongusto Whitesnake e Alice Cooper, consentendoci di porre l’accento sulla duttilità vocale di Roxxi Catalano, mentre “Worlds collide” commemora certe cose dei Winger e la rudezza di “S.E.X.” evidenzia fin dal suo titolo il ricorso ad una forma di prevedibilità fin troppo esplicita.
Chiusura riservata alla romanticheria “Shine”, solo discreta per colore melodico e potere di contagio emozionale.
Condannare la mancanza d’
autarchia dei De La Cruz sarebbe fin troppo facile, ma se cercate un disco in grado di “rievocare” i tanti momenti di “sano” divertimento e di coinvolgimento offerti dai campioni del settore, devotamente celebrati con l’aggiunta di un pizzico d’indispensabile freschezza, “Street level” possiede tutti i mezzi per soddisfare le vostre necessità.
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