Se negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescita esponenziale di gruppi intrappolati nelle ammalianti spire della R.W.O.H.M. (
Revival Wave of Heavy Metal), bisogna comunque riconoscere agli statunitensi
Hatchet di non essere proprio gli ultimi ad essersi accodati al trend, infatti, si sono formati nel 2006 esordendo, a ruota di alcuni demo, un paio di anni dopo con "Awaiting Evil".
Ora, all'appuntamento con il loro secondo album, ci troviamo di fronte praticamente ad una nuova formazione che si è riorganizzata attorno all'unico sopravvissuto: il chitarrista Julz Ramos, il quale nell'occasione si propone anche come cantante, peraltro pure con discreti risultati.
A dispetto di tutta questa rivoluzione, "Dawn of the End" non si schioda da quella stessa dedizione al Thrash Metal che aveva caratterizzato il suo predecessore: non
particolarmente violento, non
particolarmente affilato, non
particolarmente... ecc... ecc...
Un limite, questo, che si trovano di fronte molti altri gruppi, e che non deve quindi penalizzare troppo gli Hatchet, poiché con i loro fondamentali palesemente d'estrazione Bay Area, ma anche influenzati dalla scena teutonica e con quegli accenni vicino al Heavy Metal ottantiano concessi ai due chitarristi ("Screams of the Night", "Dawn of the End"...), si fanno ascoltare con piacere.
Non eccellono - e probabilmente non lo faranno mai - ma brani come "Signals of Infection" e "Vanishing Point" ci consegnano una band che ha saputo raccogliere una
pesante eredità con passione e competenza.
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