Da dove iniziare a commentare quest’album dei
Charming Grace? Dal misto di
aspettativa e
scetticismo che alimenta inevitabilmente il concetto stesso di
all-star band? Dall’
orgoglio che si prova sapendo che un progetto del genere ha una solida matrice italiana? Dal confronto con i
favolosi Shining Line, con i quali i nostri condividono intenzioni e parte dei protagonisti?
Soluzioni tutte valide, risultanti da suggestioni fondate e giustificate, tuttavia ritengo che in fondo la cosa più importante da dire immediatamente sia che il gruppo(ne) concepito da Davide “Dave Rox” Barbieri, Pierpaolo “Zorro 11″ Monti e Amos Monti è un altro esempio straordinario di come la passione e il talento siano più forti di ogni difficoltà e di qualunque condizionamento e rappresentino un “motore” strepitoso per superare qualsiasi sfida.
Come accennato, i precedenti erano al tempo stesso impegnativi e rassicuranti, eppure il termine “gruppo” usato qualche riga fa non è casuale: non vi è alcun dubbio, infatti, che questo dischetto ottico appaia come il lavoro meticoloso di una
band e non come una serie di canzoni costruite precipuamente su collaborazioni “eccellenti”, in cui la tecnica finisce per colmare piccole carenze d’ispirazione.
Sarà anche per la scelta, vincente, di mantenere una voce “guida” e di affiancarla di volta in volta ad altri prestigiosissimi interpreti (una bella prova di
carisma per Davide “Dave Rox” Barbieri, del resto già abituato ai confronti “onerosi” con i suoi Wheels Of Fire …) curando in maniera davvero esemplare gli accostamenti, ma “Charming Grace” si rivela fin dal primo ascolto con le sembianze di un prezioso tassello di cui ogni collezione “raffinata” non può fare a meno, un’opera armonica che risplende di luce intensa, una ventata di aria fresca che gonfia i polmoni e approvvigiona di ossigeno cuore e cervello, un disco senza un attimo di “vero” cedimento, che vive della sua globalità e non di singoli episodi (e penso sia il complimento più grande per un prodotto di questo tipo!).
Ed è per questa ragione che sciorinare le prestazioni degli ospiti, fornendo indicazioni dettagliate su ogni specifico brano è in questa sede, nonostante il fascino intrinseco della questione, abbastanza superfluo e inutilmente didascalico … sarà necessario riferire, invece, di un programma pieno di “belle canzoni”, in cui magnifici musicisti svolgono al meglio il loro compito di “traduttori emozionali” di un processo che inizia dalla stesura delle note sul pentagramma e si conclude con quei brividi endorfinici sperimentabili ad ogni ascolto.
Mi limiterò, dunque, a segnalare alcuni momenti capaci di distinguersi anche in un contesto così pregno di classe ed intensità, lasciando che sia lo
chic-rocker a godere di ogni istante del Cd, approfondendo tramite il suo ricco
booklet i gustosi particolari del personale esecutivo che hanno fattivamente contribuito a realizzarlo.
Cominciamo da “Shining light”, prima di tutto perché trovare un brano maggiormente avvincente di questo, non sarà impresa facile neppure nell’abbiente panorama adulto contemporaneo e poi perché il ritorno alla “vita artistica” di un mito come David Forbes (dei Boulevard, per i “distratti” …) non è cosa da poter passare “inosservata”, passiamo a “Everytime you touch my heart” e "Close your eyes”, che meritano anch’esse una citazione speciale per un vibrante “spirito radiofonico” reso irresistibile dai sublimi duetti vocali (con Workman e Luppi, rispettivamente), continuiamo con "Still dreamin'” e "Bring my life back” (egregia prova di Kimmo Blom, in un pezzo che potrebbe piacere “addirittura” ai
fans dei Simply Red …) d’impressionante caratura emozionale, menzioniamo pure la brezza benefica di “The way you feel inside” e la granulosa spigliatezza di "Run away” e terminiamo con “Through the stars”, capace di dosare melodia e sensibilità (guarda caso …) alla maniera dei Lionville.
Due buone
cover, “Everybody's broken” (di Bon Jovi) e “Leave a light on” (di Belinda Carlisle … attenzione ad Aurë … una cantante da monitorare rigorosamente), che riescono nell’intento di fornire una replica sufficientemente “personale” senza far rimpiangere gli originali, completano un quadro estremamente affascinante, nobilitato da arrangiamenti irreprensibili e in cui anche la “cornice” della resa sonora concede il suo proficuo apporto.
Non rimane che ribadire la necessità di aggiungere “Charming grace” alla propria “pinacoteca” discografica e manifestare un auspicio, quello di avere la possibilità di sperimentare “dal vivo” le sue eccezionali prerogative … un’
illusione? Forse, ma, in fondo, non sembrava
tale anche l’idea che l’
AOR tricolore potesse conquistare appetibilità e credibilità internazionale? Mai smettere di “sognare” e di “crederci”,
guys …