Con regolare scadenza annuale
Varg Vikernes, da quando ha riacquistato la libertà, continua a rilasciare album che, da una parte, testimoniano una vena creativa non esauritasi prima della carcerazione e, dall’altra, sono motivo di spunto per attaccare il personaggio in questione, sia sotto il profilo musicale che sotto quello personale.
Il nuovissimo
“Sôl austan, Mâni vestan” (“East of the Sun, West of the Moon” in inglese) più delle uscite precedenti darà il la alle polemiche a cui accennavo qui sopra.
Si tratta, infatti, di un album puramente elettronico che rinuncia del tutto alla componente black metal per tuffarsi in una proposta ambient da sempre, in ogni caso, facente parte dello spettro espressivo dell’artista norvegese.
Niente metal dunque. Ma semplice, essenziale, musica elettronica.
Capite bene le ire che questo album si attirerà.
Ingiustamente a mio avviso.
Varg dimostra ancora una volta, infatti, di essere un musicista per lo meno originale e capace di sapere dire la sua anche quando si muove in territori distanti dal suo normale modus operandi.
Se è vero che già in passato, e comunque per causa di forza maggiore,
Burzum aveva inciso un paio di album analoghi, è altrettanto vero che questa volta la scelta è ponderata ed il risultato non paragonabile, non del tutto almeno, a quanto fatto in passato.
“Sôl austan, Mâni vestan”, ancora una volta un concept album su paganesimo e religioni, è un insieme di brani rilassanti, sottilmente inquietanti, che si rifanno alla storica
“Tomhet”, brano conclusivo del capolavoro
“Hvis Lyset Tar Oss”, indirizzandone le intuizioni verso una forma musicale che fa del minimalismo e dell’incedere ipnotico i suoi vessilli principali.
Tutte le composizioni sono, infatti, molto simili ed alternato “ritmi” caldi e meditativi ad improvvisi squarci elettronici, vicini a certi
Tangerine Dream, che rendono l’ascolto una piacevole esperienza dal sapore vagamente mistico/religioso se si è inclini a certe sonorità e se si è nella giusta predisposizione.
Certamente l’album ha suoni piuttosto elementari ed una evidente ripetitività di fondo che molti di voi troveranno noiosa, tuttavia le sue atmosfere finemente cesellate e le sue melodie oscure e arcane faranno breccia nell’animo, e questo va sottolineato, di chi è predisposto a certi voli pindarici della mente.
Inutile sottolineare che i
metallari riterranno
“Sôl austan, Mâni vestan” un album inutile o, peggio, scialbo, così come credo sia inutile cercare qui violenza ed intransigenza sonora: quello a cui andate incontro è, invece, espressione di un animo inquieto ma riflessivo capace di mettere in musica, ancora una volta in maniera efficace, le sue contorte visioni del mondo che lo circonda e di un passato che
Burzum vorrebbe tornasse.
Se avete amato la componente più intimista di questo progetto norvegese e se della sua musica siete in grado di scorgere le pieghe più personali e contemplative, troverete molto interessante questo nuovo album, soprattutto al buio e da soli.
In tutti gli altri casi statene attentamente alla larga.