La diatriba sul destino dei Thin Lizzy dopo la scomparsa di Lynott è stata lunga, spesso spiacevole, costellata di live più o meno indimenticabili ma comunque fedeli al brillante passato, almeno a mio parere. Tuttavia, la decisione di usare un nuovo monicker per questo disco è certamente una di quelle cose più intelligenti che mente umana abbia mai partorito: troppo pesante utilizzare un nome così importante per qualcosa di nuovo, con protagonisti così tanto diversi da quelli che anni fa resero immortali i Lizzy.
E dunque, visto che l’abito (seppur nuovo) non fa il monaco, ecco che il disco dei Black Star Riders è esattamente un disco dei Thin Lizzy. Fedele nell’attitudine, nel sound, nella produzione, nell’anima.
Non mi addentro nella descrizione dei singoli pezzi, ma è giusto che sappiate alcune cose: Warwick è perfetto, gli arrangiamenti di chitarra sono esattamente quelli che ci si potrebbe attendere e la sezione ritmica dell’accoppiata Mendoza/De Grasso è carica di un groove clamorosamente trascinante.
Che vogliate sentire sempre e solo i vecchi dischi dei Thin Lizzy oppure metterci a fianco pure questo è una decisione che solo voi potete prendere. Io credo che comunque questo album, pur non aggiungendo nulla, non rovini una virgola di quanto fatto in passato e rappresenti un tributo talmente perfetto da risultare quasi “strano” da sentire.
Insomma, a voi la scelta, ma senza ombra di dubbio questo è un disco di classe cristallina e inattaccabile. Che sia l’inizio di una fase nuova o la chiusura di un cerchio ancora non lo sappiamo. Per quanto mi riguarda, per ora l’unica cosa a cui riesco a pensare è la voglia di alzare il volume e godermi il sacro fuoco del rock n roll.
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