Il
monicker mi aveva indotto a “sperare” in una celebrazione dell’arte sfolgorante dei Bigelf (ricordando il titolo del loro capolavoro del 2003), ma questi
Hex in realtà, allo scopo di trarre un’efficace ispirazione, più che all’
heavy/prog dei californiani, guardano all’esperienza di gente come Rob Zombie, Death SS, Ministry e Deathstars, tentando di far convivere in uno psicotico e mefistofelico amplesso, suoni
industrial, scorie
black metal (e del resto il
drummer Micke Backelin proviene dai Lord Belial …), vaghe suggestioni
gothic-dark, bagliori
sleaze e spigliatezze
electro-pop.
A rendere maggiormente “personale” una proposta apparentemente, nonostante tutto, piuttosto “codificata”, ci pensano seducenti reminiscenze di caliginoso
hard-rock “classico” (due nomi per tutti … Uriah Heep e Black Sabbath, e, in questo, se
proprio vogliamo, potremo accomunarli con il favoloso gruppo di Damon Fox …), capace di rendere il prodotto finale assai conturbante, gratificato da un approccio fascinosamente “disturbato” che allontana lo “spettro” di Mr. Robert Bartleh Cummings, in ultima analisi verosimilmente il prioritario nume tutelare dei nostri svedesi.
Abili e lucidi nella ricerca sonora e nel fornire le proprie composizioni di sfumature spesso molto accattivanti e sufficientemente peculiari, gli Hex riescono ad adescare l’astante ed anche, nei momenti migliori, a “sorprenderlo”, conducendolo in un universo musicale in cui le ambientazioni sinistre e accessibili vengono sapientemente declinate tra “passato” e “futuro”.
In questo modo, se “Succubus”, “Little devil ride”, “Dead inside”, “Grub girl”, “Sin eater” e “Spider baby”, piacciono per il gusto con cui le citazioni dei già elencati maestri vengono esibite e per talune sagaci inserzioni “tradizionali” (
guitar solos, orrorifici tappeti tastieristici …), il quadro espressivo si consolida ancor meglio nel suggestivo
hard esoterico "Voodoo girl”, nella scabra e ruffiana decadenza di "Hellbound” (qualcosa tra Motorhead e Lordi), nella ponderosa e sulfurea "7even” (efficacemente introdotta dalla
liturgia suinesca “Intermission”) e ancora nel tenebroso tocco Danzig-
iano di "Lady Death” e nel clima bucolico, ipnotico e malvagio di “Haunted hill”, mentre in “Ave satani” l’aggiunta di un efferato
growl rende il brano una sfiziosa ricetta di
hard/black/death intinta in una fremente salsa sintetica.
Un debutto abbastanza convincente, insomma, una maniera attraente per approcciare la schizofrenica discografia contemporanea, che potrebbe sfociare in risultati ancor più esaltanti attraverso un’ulteriore emancipazione dai modelli … per ora, comunque, tutti i miei più
malefici complimenti agli Hex e a chi ha deciso di patrocinarli.
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