Difficile, dopo aver addirittura “scomodato” Goethe nella recensione del primo lavoro dei
Balrog, trovare una maniera
diversa e altrettanto
autorevole per introdurre la disamina di questo nuovo “Miserable frame”.
In aiuto dello
scribacchino in ambasce fortunatamente arriva, e fin dal primo ascolto del disco, la convalida di ciò che con la citazione di quell’aforisma attribuito al letterato tedesco si voleva significare ai tempi di “A dark passage”: i lombardi riescono veramente a “dire” qualcosa di sorprendente pur usando concetti ben noti e codificati.
In questo frangente, poi, i nostri decidono d’incattivire ulteriormente la loro proposta, ed ecco che la miscela di
power primordiale,
NWOBHM,
doom ed
epic espande le suggestioni
thrash dell’esordio fino a ferali digressioni
death metal, in un crogiolo di stili sempre ben amalgamato ed equilibrato in cui sono ancora una volta il gusto creativo e una spiccata propensione alla tensione drammatica a rappresentare il nobile collante di una manifestazione artistica dal cospicuo impatto sensoriale.
Per chi ama le
referenze, si potrebbe parlare, avvalendosi del consueto senso dell’iperbole che contraddistingue tali situazioni comparative, di un vorticoso e singolare
cocktail espressivo tra Judas Priest, Mercyful Fate, Savatage, Angel Witch, Metallica, Cirith Ungol, Nevermore e Opeth, il tutto dominato e filtrato da una formazione edificata su tecnica, spietatezza e
pathos, con la voce rapace ed evocativa di Stefano “Obscure” Castagna a fungere da tenebroso e implacabile coordinamento interpretativo.
L’apertura dell’albo, affidata a “Blood feud”, è un ottimo esempio di come si possano coniugare potenza, velocità e solennità, apparendo “classici” eppure anche sufficientemente creativi, e se la successiva “Bewitched” prosegue sulla stessa falsariga scurendo le cadenze e rendendo maggiormente “accessibile” il risultato grazie ad un’incisiva linea melodica, tocca alla
title-track piazzare il primo colpo “stordente”, attraverso una struttura ancora una volta poderosa e greve, ma anche volubile e straniante, capace di vaghi profumi mediorientali e di squarci di palpitante lirismo dal retaggio
dark-eggiante.
“Ottundimento” che prosegue in modo consistente, subito dopo, con “Dark city”, un molosso di pece, inquietudine ed enfasi, impreziosito da arabeschi e da sagaci dissonanze, per un quadro complessivo di notevole suggestione.
“Delirium insomniae” è un altro bel momento di efferata instabilità, “The curse” e “Company of death” esaltano le doti più “tradizionaliste” del gruppo, “Wings of debauchery” quelle maggiormente mortifere, mentre il breve strumentale “Dealing with the tempest” si pone tra le due tendenze mostrando il lato introspettivo ed estatico (strano, per un
demone …) del gruppo.
I Balrog e il loro “Miserable frame” rappresentano un’opzione appropriata per chi ritiene che possa ancora esistere un’alternativa tra l’essere eccessivamente “fedeli” ai dogmi del genere o tentare di snaturarlo attraverso una soverchia trasformazione della materia … per quanto mi riguarda, una grande conferma.