Per una volta, considerata la peculiarità dell’album di cui mi accingo a trattare, intendo sovvertire il mio abituale modus operandi di scribacchino. Eviterò dunque di perdermi in inconferenti preamboli atti a rompere il ghiaccio (se non la smetto subito ci casco anche questa volta) e partirò dalla fine: come leggere quel “senza voto” che campeggia alla destra del vostro schermo?
Presto detto: se vi fregiate di appartenere alle frange avanguardistiche che considerano
DeMaio e soci una incolta orda di trogloditi guerrafondai e maschilisti, sinora mai in grado di sforare il tetto dei trenta vocaboli nelle lyrics di qualsiasi loro canzone, allora leggete il “senza voto” come un 5 tonante. Quasi certamente, riterrete le melodie presenti in
Warriors of The World elementari, gli arrangiamenti pacchiani, il drumming del compianto
Scott Columbus involuto e l’artwork imbarazzante.
Per i fans sfegatati, invece, quel “senza voto” potrà venir letto come un 9,5, giusto perché il 10 tondo lo si può concedere esclusivamente ai sempiterni capolavori del combo a stelle e strisce:
Into Glory Ride,
Hail to England,
Kings of Metal e compagnia bella (bellissima, a dire il vero).
E il sottoscritto? A costo di risultar pedante, mi vedo costretto a compiere un’ulteriore distinzione.
Se avessi deciso di soffermarmi esclusivamente sull’opportunità dell’operazione commerciale, il “senza voto” sarebbe divenuto un impietoso 4. Non avrei incontrato eccessive difficoltà ad enucleare i motivi della sonora bocciatura:
- che senso ha, nel 2013, proporre l’edizione rimasterizzata di un album per festeggiarne degnamente il decimo compleanno? Il mercato discografico odierno, sull’orlo del collasso in termini di vendite ma comunque invaso da centinaia di uscite dalla disarmante inutilità, ha realmente bisogno di una simile aggiunta?
- che senso ha immettere nuovamente sul predetto mercato un disco che si può già trovare, e agevolmente, in qualsiasi negozio online e non, in formato fisico quanto digitale?
- che senso ha rimasterizzare un cd come Warriors of The World che, a mio modo di vedere, anche nella sua primigenia incarnazione poteva contare su suoni assolutamente spettacolari? A questo punto, non si sarebbe rivelata forse mossa più avveduta quella di dedicare maggior cura al recente
The Lord of Steel, già di per sé scadente e oltretutto violentato da una produzione a dir poco infausta?
- infine, quand’anche si superassero tutti i motivi di perplessità sopra svolti, perché proporre una Anniversary Edition con una sola, sparuta bonus track? Non ci si poteva sforzare un attimo, e magari fornire al povero ascoltatore qualche chicca più succulenta di una spompata esecuzione live di
House of Death (che peraltro abbiamo ascoltato meno di cinque minuti prima nella sua versione da studio)?
Qualora, al contrario, mi fossi imposto di accantonare le questioni di contorno per affrontare una disamina strettamente musicale, il “senza voto” si sarebbe tramutato magicamente in un 8 abbondante. Ebbene sì: per quanto mi riguarda, la nona fatica dei Manowar è più che ottima. Se poi la si parametra al lavoro che l’ha preceduto e, soprattutto, ai due che l’hanno seguito, Warriors of The World pare davvero un capolavoro senza tempo.
Presumo che la stragrande maggioranza di voi conosca anche meglio del sottoscritto il platter in esame. Un track by track di un album così famoso sarebbe perlomeno ridondante; credo però sia giusto sottolineare che, a distanza di anni, riascoltare il grandioso crescendo di pathos dell’opener
Call to Arms, l’inarrivabile lirismo di
Eric Adams nel chorus della commovente
Swords in the Wind, l’irresistibile semplicità della title track, mi ha fatto ancora venire due dita di pelle d’oca.
Non si tratta di un’opera perfetta:
The Fight for Freedom, oltre che terribilmente retorica, è una marcetta insipida che perde ampiamente il confronto con la diretta rivale
Courage (da
Louder Than Hell);
An American Trilogy, seppur interessante in teoria, si rivela esperimento poco riuscito; la scaletta, con quei tre brani tanto veloci quanto simili posti uno dopo l’altro in chiusura, poteva certamente venir confezionata con maggior senno.
Facezie, comunque sia: Warriors of the World resta l’ultimo grande lavoro dei Manowar, e tanto dovrebbe bastare.
Quindi, se già possedete l’album in esame, saltate questa inutile Anniversary Edition a pié pari. Se invece non annoverate ancora l’epico dischetto nella vostra collezione, rimediate quanto prima. Così facendo, in un sol colpo, avrete evitato la scomoda qualifica di wimp (o poser, quel che preferite) e vi sarete assicurati uno dei migliori album heavy metal della scorsa decade. Non male, vero?