In un universo, quello del
rock, attualmente infarcito (e dominato …) da “veterani”, suscita un pizzico di “scalpore” che un gruppo come quello dei teutonici
Rebellious Spirit sia composto di
teen-agers tra i diciassette e i vent’anni, ma d’altra parte, estendendo i confini dell’analisi, il “fenomeno” delle
boy-band e dei ragazzini protagonisti delle cronache musicali è anch’esso parte integrante dei nostri tempi.
Il rischio, insomma, era di avere a che fare con un tentativo di trasposizione di situazioni alla One Direction e (ancor di più, vista la nazionalità dei nostri …) Tokio Hotel nell’ambito dell’
hard melodico, dimenticando per un attimo, con quel velo di cinismo da “maturi” frequentatori del settore, che in fondo il
rock n’ roll nasce come una “roba” da “giovani”, diventando, poi, grazie alle sue qualità intrinseche e a una società che l’ha ampiamente sdoganato non temendone più le pulsioni “rivoluzionarie”, una faccenda
trans-generazionale.
Accogliamo con simpatia e benevolenza, quindi, una formazione di
novellini innamorati di Poison, Warrant, Motley Crue, Firehouse, Skid Row e Scorpions (imprescindibili, per ogni
deutsch-rocker che si rispetti …) e un disco, questo “Gamble shot”,
fatalmente immaturo e un po’
naif e tuttavia pregno di un’intraprendenza e di una
joie de vivre (proprio come afferma il frontman Jannik Fischer, nelle dichiarazioni riportate sul materiale promozionale dell’opera …) piuttosto coinvolgente.
Registrato tra settembre 2011 e febbraio 2012, esclusivamente nei
week-end per non venire meno agli obblighi scolastici (non ci sono più i “ribelli” di una volta …), il Cd ci propone una quarantina di minuti di
pop-metal fresco e disinvolto, suddiviso fra linee melodiche frizzanti e contagiose (“Let’s bring back” e “Forever young”), digressioni glitterate e vaporose (“Sweet access right”), momenti
anthemici e grintosi (“Cry for you”, una specie di “figlia degenere” di “Rock you like a hurricane”, "Lights out”, “Gone wild” e ”Rock it”) e immancabili sentimentalismi (“Change the world”, “Don’t leave me” e “You’re not the only one”), in cui a destare le perplessità maggiori è probabilmente la voce efebica e “incompiuta” di Jannik, non a caso il più piccolo del quartetto.
Avere un’ulteriore conferma che la continuità del genere è garantita, e che certi suoni non hanno perso il loro fascino neanche tra le progenie dei
nineties, rappresenta motivi di ampia soddisfazione, mentre ai Rebellious Spirit non posso che consigliare di continuare su questa strada, seguendo le indelebili orme dei “maestri” e lavorando alacremente per renderli orgogliosi di aver contribuito alla nascita di discepoli tanto attenti quanto carismatici.
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