Dopo il debut
Thirteen e il successivo
Hussshhh (The Sound of Sorrow and Silence), album del 2009 che non giunse mai sino agli italici lidi, i
Velvetcut tagliano il significativo traguardo del terzo disco.
In onestà, non ho mai avuto modo di ascoltare le prime due release del quartetto finnico, eppure non ci è voluto molto a individuarne la proposta: trattasi di un morbido ed elegante rock dalle tinte elettroniche, pervaso da atmosfere colme di solenne tristezza.
Sono con ogni probabilità
Placebo e, soprattutto,
Muse (l’attacco di
Heroic Symphony e
N.O.G. sono emblematiche in tal senso) le influenze più vistose, il che tuttavia non deve necessariamente scoraggiare: in effetti, posso dire di aver gradito l’ascolto di
Electric Tree.
Definirei avvolgente la musica dei
Velvetcut, che dipanano le loro trame con brani dai tempi medio-lenti e dall’alto tasso atmosferico. A mio avviso, risiede negli arrangiamenti l’aspetto più apprezzabile di questo lavoro: gli otto pezzi che lo compongono, pur nella loro breve durata (come del resto l’album stesso: poco più di 30 minuti), possono contare su una produzione eccezionale (ad opera di
Tomi, anche fondatore, cantante e compositore principale della formazione finlandese), e risultano curati all’inverosimile, stratificati, colmi di piccoli accorgimenti e finezze delle quali si può fruire solo grazie a un attento ascolto in cuffia.
Dopo l’intro dal sapore industrial, vicina ad alcune cose dei
Nine Inch Nails e forse tirata un po’ troppo per le lunghe, i nostri snocciolano la canzone scelta come singolo apripista dell’album,
Pulse of the Earth, che ha saputo conquistare numerose radio nordiche grazie alle sue melodie accattivanti e al suo chorus radio friendly (per l’appunto). Buon inizio, anche se a mio avviso sono brani come la ballata crepuscolare
Carousel o la conclusiva
Heavy to Climb (part II), col suo sfuggente afflato epico, a rappresentare la vera anima della band.
Poco riusciti, d’altro canto, appaiono i pezzi in cui ci si avventura su lidi meno sontuosi e più ritmati (si veda in proposito
Farewell and Goodbye, in cui il già citato singer sembra voler scimmiottare
Jonathan Davis e
Marilyn Manson, con esiti insoddisfacenti). Più in generale, l’album scorre via piacevolmente, pur senza far gridare al miracolo.
Del tutto evidente, alla luce delle considerazioni svolte, che non tutti i lettori di
Metal.it sapranno apprezzare una proposta soft come quella dei
Velvetcut, di fatto ben lontana da lidi anche solo vagamente riconducibili al nostro genere prediletto. Ciò detto, coloro i quali non disdegnano un ascolto più contemplativo di quando in quando, potranno trovare in
Electric Tree una valida opzione.
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