Senza intro, outro e un inserto pianistico a metà lavoro (denominato
Prelude No.2), questo nuovo album dei
Lecherous Nocturne dura circa 23 minuti. Un po' poco? Beh, dipende da cosa si propone. Vi assicuro che per una bordata di tecnical brutal death, con qualche venatura black, possono anche essere sufficienti.
Questo infatti è il territorio nel quale gli americani si esprimono, giungendo con
Beyond Almighty Doctrine al terzo lavoro, che segue dopo ben cinque anni il precedente
The age of miracle has passed. Cos'è cambiato nel frattempo? Intanto
Chris Lollis (con un passato come bassista nei
Nile per diversi tour) abbandona la chitarra per concentrarsi esclusivamente sulle parti vocali, prodigandosi in un growl non troppo profondo ma bello abrasivo e cattivo, che calza a pennello con la proposta degli americani. Altra cosa da notare è che questi ragazzi sono maturati, e il loro songwriting si è evoluto, arrivando a fare di questo nuovo disco il loro masterpiece. Senza dubbio
Beyond Almighty Doctrine è il capitolo più convincente della loro discografia.
Riff intricati, quasi impossibili da codificare, che poggiano su tempi velocissimi in costante mutazione dettati da una batteria che sputa fuoco costantemente ma con fantasia, senza abusare di blast beat e senza arrivare a coprire tutto. Nessuno qui vuole mettersi in mostra sbrodolando il proprio corredo di note, tutto quello che sanno fare questi musicisti lo buttano nelle canzoni ma senza eccessi o autocompiacimenti. Per provare a dare un'idea a chi non li conosce, si pensi a un mix di
Gorguts,
Immolation,
Necrophobic e
Unanimated. Aspettate ad eiaculare, non intendo la summa di queste straordinarie band, ma diversi elementi di ognuna che possiamo ritrovare nei
Lecherous Nocturne.
Produzione particolare quella scelta, le chitarre infatti non sono ultra compresse e ribassate all'inverosimile ma optano per una distorsione si forte ma non eccessiva, con un equalizzazione spostata sulle medie, che aiuta i ragazzi di Greenville a distinguersi dalla pletora di brutal band con un suono troppo simile. Questa scelta permette anche di seguire bene il lavoro al basso di
James O'Neal che tra questi pezzi contorti ha anche lui il suo bel da fare.
Non un album da incorniciare, ne da utilizzare come paragone per altre uscite dello stesso genere, però ha il suo perché e sa dare buone soddisfazioni. Provare per credere.
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