Comincio a pensare che siano demoni antichi che sorgono dalle fondamenta della terra ogni due anni per intimidire il mondo con la loro oscura minaccia di distruzione. Non si spiega altrimenti la nera carica annichilente di questo quartetto proveniente da Auckland, Nova Zelanda, una delle città più belle, vivibili e curate del mondo.
Essendo una terra vulcanica, mi immagino gli
Ulcerate come occupanti di un buio cratere fumante, lì che attendono, si caricano, accrescono la loro forza per poi esplodere con furia devastante e coprire il cielo di un oscuro alone impenetrabile, facendo calare una spessa oscurità e annullando ogni speranza.
Queste sono all'incirca le sensazioni che provoca in me la straordinaria musica di questa band che, dopo aver eruttato il monumentale
The Destroyers of All sprigiona un'ulteriore massa d'odio con il nuovo
Vermis che non fa che confermare le loro malevole intenzioni.
La chiave del loro suono è stata, fin dall'esordio, l'unione di una strabiliante abilità tecnica legata ad una capacità di scrivere canzoni in un modo diverso dall'ordinario, senza schemi, proponendo un death metal che non gira attorno a dei riff poderosi o parti cadenzate. Anche
Vermis è ricco di quelle dissonanze continue, quelle trame acide che rendono la loro proposta non forse adatta a tutti, ma fottutamente riuscita ed ammaliante, che ti lega a loro in un modo sottile, invisibile e che ne identifica un sound diverso dal resto dell'affollato mondo del death e affini.
Più che in passato, su
Vermis sono infatti le chitarre ad essere le vere protagoniste con stilettate velenose e assoli veramente ben concepiti, niente a che vedere con scelte classic metal o ancor peggio barocchismi eh, ma semplici note che mantengono una forte identità nera. Leggermente ridimensionata invece la batteria che nonostante rimanga un caterpillar per forza e spinta alle canzoni, limita il suo lavoro "di fantasia" fornendo una base solida alle composizioni sulle quali si staglia il cantato di quell'orco di
Paul Kelland che con il suo basso scuote anche la terra.
Le canzoni sono tutte di livello infernale e dopo
Odium, una intro sinistra e strumentale con chitarre che arpeggiano note che arrivano dall'abisso, la veloce e malata
Vermis, traccia che da il titolo all'album, riassume bene tutte le caratteristiche che troveremo dentro a questo nuovo lavoro e si gioca con la pesante, densa e disperata
Weight of Emptiness il premio per il brano più ispirato.
Ritengo che l'album non necessiti di un track by track, essendo le composizioni parimenti valenti ed identificabili in un unico ammasso soffocante, ora veloce, ora plumbeo e funereo ma sempre bellissimo.
La produzione è adeguata al suono proposto, lasciando lunghi riverberi alle note, evitando una eccessiva pulizia e scegliendo intelligentemente di spingere sulla profondità e cupezza, senza trigger o elementi artefatti.
Incredibile immaginare che siano solo in tre a creare tutto questo caos.
Per tutta la durata del platter assistiamo a momenti apparentemente cacofonici, partiture slegate e perverse soluzioni che solamente pochi altri geni come
Portal,
Gorguts o
Deathspell Omega sanno concepire.
Vera arte.