Se si clicca sul link del sito ufficiale dei
Soulfly la prima cosa che balza all’occhio è la dicitura di band “
led by legendary frontman, Max Cavalera”.
Poi si legge la bio allegata al disco (alla cartella mp3) e si continua con “
Max Cavalera is the walking embodiment of creative energy, of all of the diverse layers of urgency that are possible from that select few whose artistic output defines genres. Mystic shaman, protest singer, revolutionary hero, everyday metalhead, furious consumer of heavy music of all shades, husband, father, leader, songwriter…Cavalera reigns as the adoptive tribal chief of a generation of fans, stretching from the roughest slums of South America to the coldest confines of Russia”.
E poi ancora: “
A trailblazing pioneer and musician with millions of albums sold who nevertheless retains boundless street cred due to his grimy, raw and undeniable authenticity; Max Cavalera is one of the most prolific artists the realm of heavy music has ever known”.
Scusate se vi ho riportato questo profluvio delirante di autocompiacimento da parte di Max, ma ciò serve ad introdurre la recensione del nuovo “
Savages”, nono disco dei
Soulfly. E non ci si crede se si considera che la band ha già detto tutto con il debutto omonimo, considerato dai più come un “
Roots” parte seconda, ma, aggiungo, senza la stessa classe, convinzione e genuinità.
E addiveniamo alla prima e principale conclusione, ovvero che Max è sì leggendario, ma soprattutto per paraculaggine e disonestà intellettuale. Non voglio fare la storia dei
Soulfly, potrei dilungarmi troppo, e sarebbe un insulto continuo, ma il qui presente disco rappresenta la volontà di Max di rifarsi al suo passato, e precisamente a quel “
Chaos A.D.” di quasi venti anni fa. Il groove, il riffing, le cadenze sono quelle, con l’aggiunta di un tocco di metalcore d’accatto, un po’ di cattiveria di cartapesta e i soliti clichè che da sempre lo accompagnano. E quindi collaborazioni illustri (stavolta, tra i tanti, tocca a
Mitch Harris dei
Napalm Death), titoli roboanti e ricchi di giochi di parole, un vocabolario che continua ad avere le solite quattro parole in croce, come bleed, muthafucka, fight, hate, ect., la qual cosa è grave visto che Max, vivendo da anni a Phoenix, è praticamente americano.
E per fortuna che non abbiamo il cd fisico, altrimenti sono sicuro che, nel booklet, potremmo leggere la solita sfilza di ringraziamenti e di dediche a gente deceduta, un vero e proprio necrologio.
E la musica? “
Savages” non è un brutto disco, è solamente un disco inutile, piatto, elementare, già sentito (un milione di volte), senza alcuno spunto compositivo degno di nota, senza qualcosa, seppur minima, che giustifichi la presunzione di Max e le sue pretese di assurgere a leggenda del metal.
Max è un despota, i
Soulfly non sono una band, ma Max più altri tre. La vera band erano i
Sepultura e non è un caso che dopo lo split non abbiano più combinato nulla di buono o quasi.
Aggiungo che, a distanza di anni, uno dei segreti di “
Roots”, oltre all’alchimia della band e alla perfetta fusione tra metal e ritmi tribali, era anche la mastodontica produzione di
Ross Robinson.
Max è così presuntuoso che adesso i dischi se li produce da solo (anche se stavolta si fa aiutare da
Terry Date), è così presuntuoso che pensa di potersi circondare di chiunque, tanto uno vale l’altro, e allora perché non chiamare alla batteria il 21enne figlio
Zyon Cavalera? Ma dimentica che ai tempi d’oro aveva alle spalle gente come
Andreas,
Igor e
Paulo jr.
Un ego smisurato che crede di non avere limiti, come senza limite è il suo continuo riciclare idee e riff di vent’anni fa.
Max Cavalera è diventato tutto ciò che dice di voler combattere, non è più credibile. Una patetica rappresentazione di un musicista finito che scimmiotta se stesso e non si rende conto che oggi, in giro, ci sono musicisti che gli danno la paga e con i quali non può competere.
L’iniziale “
Bloodshed” si apre con il suono di sirene contraeree prima di tuffarsi un riffing cadenzato e groovy, il solito di sempre. “
Cannibal Holocaust” e “
Fallen” sono due buone canzoni, peccato che non c’entrino nulla col death metal, come dichiara Max, almeno che non si intenda il proto death metal di metà anni ’80 aggiornato al 2013, ma siamo comunque sempre dalle parti del dejà-vù più sfrenato, essendo le due canzoni un vero esempio di trash old school tra
Metallica e
Machine Head degli inizi.
“
Ayatollah Of Rock ‘N’ Rolla” dice di ispirarsi al filmico “
Mad Max 2: il guerriero della strada”, ma Max dimentica l’unico vero Ayatollah del rock’n’roll, ovvero, per sua stessa definizione,
Mario Van Peebles in “
Gunny” (citazione per pochi…ad ogni modo se non conoscete questo film siete pronti per la stricnina).
“
Master Of Savagery” è un pezzo tosto, cadenzato, granitico verrebbe da dire.
Possiamo tranquillamente affermare che, a differenza di “
Omen”, nel quale Max giocava ad un infantile celodurismo, questa volta il musicista brasileiro ha compreso che è meglio buttarsi sul groove e sulla pesantezza piuttosto che sulla velocità e la violenza sonora.
L’incipit di “
Spiral” è spudoratamente copiato, scratching compreso, da “
Spit It Out” dell’omonimo debutto degli
Slipknot.
“
This Is Violence” ha un riff iniziale che cita a piene mani da “
Ambush”, "
Dusted” e "
Attitude” tutte tracce di “
Roots”, ma senza avene il sacro fuoco e l’urgenza iconoclasta, sembrandone una outtake.
“
K.C.S.” vede la collaborazione, come detto, di
Mitch Harris. Anche qui il groove la fa a padrone, ma c’è poco altro.
“
El Comegente” è ispirata a un cannibale venezuelano, l’
Hannibal Lecter delle Ande, per non farci mancare nulla, soprattutto qualcosa di cui parlare nelle interviste. Il pezzo sembra convincere per intensità, peccato sia troppo lungo, per via della jam session finale acustica che c’entra come i cavoli a merenda.
La conclusiva “
Soulfliktion” è veloce, molto punk, ma inoffensiva.
Non troverete, come al solito, una traccia conclusiva chiamata “
Soulfly IX”, presente in ogni disco e numerata progressivamente. Ma non preoccupatevi, la potrete trovare sulla solita versione digipack in edizione speciale, antico espediente di Max per fottere soldi ai polli.
Devo trovare le parole adatte per concludere questa lunga recensione. Se li amate non starò a sentenziare sul vostro masochismo o sulla vostra incapacità di discernimento, soprattutto musicale, vi dico semplicemente compratelo. Gli altri ne stiano alla larga, che oltre ai soldi risparmieranno un attacco di bile, non venendo schiacciati all’ego di
Max Cavalera.