Con tutto il
vintage-rock che ci circonda, spesso anche formalmente di pregevole fattura, è sempre più difficile distinguere chi fornisce solo una “bella copia” dello spirito degli “avi” da quelli che invece certe pulsioni le hanno scolpite nel
DNA.
Personalmente ritengo che l’empatia, l’energia e la personalità con cui i
The Answer affrontano i codici immarcescibili dell’
hard-rock blues li renda vincenti nel confronto con una scena florida e costipata, ma anche volendo affidarsi a qualcosa di più “concreto” e “oggettivo” (ammesso che si possano usare tali aggettivi in una qualunque valutazione artistica …), la cosa che fa davvero la differenza sono le “canzoni”, aspetto fondamentale mai venuto meno nella brillante carriera dei nordirlandesi.
Il nuovo “New horizon” è, infatti, ancora una volta una collezione piuttosto impressionante di appassionanti frammenti sonori, imbevuti di un
feeling denso e coinvolgente, sicuramente “tradizionale”, eppure ben lontano dall’apparire una sterile riproposizione dei “soliti” modelli consolidati.
Led Zeppelin, Thin Lizzy, Bad Company, Humble Pie e Rolling Stones prosperano nelle composizioni del gruppo con una semplicità e una disinvoltura disarmante e, grazie all’ispirazione, l’unica reazione che il programma stimola nell’ascoltatore è una benefica produzione di
dopamina e non il “sorrisetto” di chi ha individuato istantaneamente la fonte “storica” a cui si è generosamente attinto per la realizzazione dei brani.
Insomma, anche se forse l’albo è nel complesso appena inferiore ai suoi predecessori, continuo a considerare i The Answer una delle poche formazioni veramente autentiche e istintive del settore, ancora dotata, nonostante il successo e certi piccoli ammorbidimenti stilistici, di quella sana “sfrontatezza” così importante per mantenersi vitali e genuini nel convulso e stagnante mondo del
rock n’ roll.
Cormac Neeson può essere considerato un po’ l’emblema di tutta la situazione, con il suo viso da simpatico marpione e, soprattutto, con una voce così ardente e vibrante da poter essere considerata come una riuscita ibridazione tra Plant, Rodgers, Marriot e Howlin’ Wolf, è lui il primo a scaldare il cuore e ad attivare i gangli sensoriali, mentre i
riff, i fraseggi e i
solos di Paul Mahon s’insinuano nei tessuti muscolari dell’astante con modalità “antiche” ed effetti permanentemente corroboranti.
“Spectacular”, l’accattivante e irresistibile singolo, la tensione elettrica della
title-track e di "Burn you down”, il rovente fremito
funky di "Leave with nothin'” e poi ancora la spigliatezza di "Somebody else”, le scosse alla Audioslave di "Concrete” e le pulsazioni sinuose e viscerali di "Baby kill me” (scritta con Cosmo Jarvis) e “Scream a louder love”, dimostrano come un palese spirito “retrospettivo” possa essere trattato in maniera “creativa” e credibile, finendo per convincere anche i
rockofili più scettici e smaliziati.
Nel caso ci fossero dubbi residui, poi, a spazzarli via provvedono la clamorosa intensità di “Speak now” e il prepotente crescendo emotivo di “Call yourself a friend”, due scintillanti emanazioni musicali di stampo Zeppelin-
iano, prive, però, di quel manierismo che troppo spesso vediamo esibito nelle tante celebrazioni del
Dirigibile proposte dal mercato discografico contemporaneo.
Il suggestivo
artwork di Storm Thorgerson (
designer visionario e fantasioso, scomparso di recente, fra i fondatori del leggendario studio grafico Hipgnosis, all’opera, tra gli altri, per Pink Floyd, Muse e Led Zeppelin …) rappresenta il classico valore aggiunto di un lavoro di notevole qualità, che offrirà ancora una volta una “risposta” affermativa a quanti si chiedono se sia davvero possibile rivivere (almeno virtualmente) sulla propria pelle l’irripetibile epopea dei
seventies.