Bam! Lo dico subito e lo dico chiaramente: ogni singolo brano di questo "
Winter Kills" è una MANATA in faccia. Li ascolto e li apprezzo dalla nascita, da quel lontano 2002 in cui il buon
Dez Fafara decide di abbandonare i Coal Chamber, ormai sul viale del tramonto, per unirsi a un quartetto di giovani provenienti dalla Florida: nascono così i
DevilDriver, muoiono i Coal Chamber e rinasce Dez Fafara.
Questa in brevissimo la storia della band americana, che con il suddetto "Winter Kills" arriva al ragguardevole traguardo del sesto album, primo sotto la nuova egida della Napalm dopo 5 ottimi dischi usciti per Roadrunner e soprattutto primo senza uno dei membri fondatori della band, il bassista Jon Miller, seriamente impegnato nel suo programma di riabilitazione dalle droghe e dall'alcool.
Due novità decisamente importanti per una band con 10 anni di carriera alle spalle..cosa aspettarsi quindi?
L'ho detto in apertura e lo ribadisco: una manata continua, una botta tremenda che percuote l'album lungo tutti i suoi 49 minuti e spicci, senza dare un attimo di tregua e senza dare nemmeno l'impressione di volerlo dare. Fin dall'opener "
Oath of the Abyss" l'intenzione dei DevilDriver è chiara: ridefinire il concetto di melodic death/groove metal con un album che pesca a piene mani nella storia del genere e nella storia della band, arricchendo il tutto con una dose di modernità (il produttore è
Mark Lewis, che ha già lavorato con i DevilDriver sull'ultimo album oltre che con Trivium, Unearth, Black Dahlia Murder..) e con una cattiveria, tecnica e stilistica, che non ascoltavamo da davvero parecchio tempo, forse da quel "The Fury of Our Maker's Hand" del 2005, che assieme all'omonimo esordio segnano il punto più alto della discografia degli statunitensi.
Il disco poi prosegue con altri due brani tiratissimi come "
Ruthless" e "
Desperate Times", salvo svoltare leggermente in una fase "melodica" (le virgolette sono d'obbligo) con la bellissima title-track, che precede quella che è senza dubbio la canzone più bella e interessante dell'album, quella "
The Appetite" che tanto ricorda, soprattutto nel refrain iniziale, le cose migliori fatte coi Coal Chamber o la sempiterna "I Could Care Less" proveniente da "DevilDriver".
Il resto dell'album è un susseguirsi continuo di pugni in faccia e pedate nel culo, all'ascoltatore e a tutti quei gruppi che cercano di cimentarsi in un genere che ha bisogno di rabbia, tecnica e tanta cattiveria per risultare credibile. Non ci sono cali, non ci sono momenti di stanca o isole felici in cui riposare qui, c'è solo tanta potenza e tanta voglia di spaccare tutto, nel vero senso della parola. Unica parentesi di apparente tranquillità è la conclusiva "Sail", cover degli Awolnation, resa metal in maniera davvero eccellente.
Con "
Winter Kills" insomma i
DevilDriver tornano alla ribalta dopo il pur buon "Beast", riprendendo a pestare come dei disgraziati e a squarciare padiglioni auricolari. Speriamo vivamente che Dez Fafara continui sulla strada intrapresa ormai 11 anni fa e non si impelaghi eccessivamente nella reunion dei Coal Chamber, reunion dai contorni sempre più commerciali.
Quoth the Raven, Nevermore..
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