Tornano dopo solo 1 anno dal bellissimo
"Theomachy" i conterranei
Tragodia e lo fanno con un album che senza dubbio va a giocarsi la palma di migliore della loro discografia al sopracitato penultimo lavoro.
"
Mythmaker" infatti riprendere esattamente la dove "Theomachy" finisce, regalandoci una band in grandissimo spolvero dal punto di vista tecnico e interpretativo, grazie ad una performance senza fronzoli e senza difetti eclatanti, sia musicalmente sia dietro al microfono, dove un grandioso
Luca Meloni sforna una prestazione all'altezza dei grandi del settore.
La proposta musicale dei bresciani, rispetto al passato, si arricchisce di una componente gothic più marcata, mantenendo comunque ben salde le proprie radici in un heavy/prog dalle tinte oscure, con una venatura thrash che ogni tanto sbuca dal pentagramma, come nell'attacco di "
The Oracle and the Muse".
Azzeccatissimo è anche l'uso mai esagerato e fuori posto dei controcanti, che contribuiscono nel donare alle varie tracce un'aura epica e quasi sacrale, ben supportate da un comparto strumentale sempre all'altezza e votato a un'anima adeguatamente oscura.
Fanno capolino qua e la echi dei Paradise Lost, in maniera più pressante rispetto al passato, cosa che può solo far bene dato il risultato finale. "
A Temple in Time" ne è un esempio chiarissimo, in particolare per "colpa" della voce di Meloni, così ispirata a Nick Holmes, così come un brano più intimo e personale quale "
Tidal Waves of Greatness".
L'album comunque si mantiene su altissimi livelli anche nei frangenti più ariosi e tirati, come nella splendida "
Wisdom in the Meadows of Sorrow", la quale si presta in maniera perfetta anche per mettere in mostra il talento di
Lupi e
Tonoli alle chitarre e dei sempre precisissimi
Paderno e
Valseriati alla sezione ritmica.
Davvero interessante è anche il comparto testuale di "Mythmaker" che, come capitato anche sui passati lavori, va a pescare a piene mani nella mitologia e nella storia a più ampio respiro, mettendoci di fronte una band che dimostra di essere matura anche sotto l'aspetto degli argomenti trattati, assolutamente mai banali e demagogicamente spicci.
Se a tutti questi aspetti positivi aggiungiamo una copertina davvero ben realizzata e una produzione praticamente perfetta, è semplicissimo rendersi conto del fatto che quello che abbiamo per le mani è l'ennesimo ottimo album, da parte di una formazione che avrà sicuramente da dire la propria per molti anni a venire, non solo in Italia ma anche nel resto del mondo conosciuto.
Quoth the Raven, Nevermore..