Diciamo pure che gli
Agony Face fanno di tutto per farci venire male alla testa! E' infatti impossibile districarsi nella loro proposta musicale fatta di death, prog, continui cambi di atmosfera e allucinanti contaminazioni, allora, l'unica cosa che si può fare è lasciarsi andare alla deriva sospinti dal suono, in un fiume di note.
Giunti al secondo disco, i milanesi esasperano ulteriormente il loro intereccio sonoro arrivando ad un livello di complessità davvero assurdo, lo dico in senso buono, sia chiaro. La definizione, da loro stessi creata, "
surrealistic death metal" calza a pennello per dare una vaga idea di quello che combinano questi cinque musicisti. Imparata la lezione dei
Death, Cynic, Atheist e
Pestilence (ci sono infatti parecchi rimandi nel riffing), ed aggiornato il tutto ai nostri tempi con porzioni di
The Faceless, Obscura, Necrophagist e
Decrepith Birth, i nostri reinterpretano il tutto in un ottica ancora più prog, di quello settantiano però, cha ha in
King Crimson, Camel, Genesis,
Van Der Graaf Generator e negli esponenti italiani del genere (
Banco, PFM, Le Orme, Quella vecchia Locanda) i propri maestri.
Il risultato è questo
Stormy Quibblings, un concentrato di riff e atmosfere cha da solo basterebbe per scrivere una trentina di album per band "solamente umane". Chiarisco subito che il disco è metal, senza alcun dubbio, tanto death metal, da non confondere con altri lavori che hanno le medesime coordinare ma che prediligono il lato più fusion e jazzistico. Il cantato è in growl ed usa un registro abbastanza alto che tuttavia viene variato spesso, il lavoro delle chitarre è isterico e pieno di armonizzazioni, quello del basso è pazzesco, pirotecnico e ricercato, infine il batterista tiene uniti gli elementi facendo gli straordinari e sfoggiando una prova notevole. In mezzo, qualche tastiera, intermezzi acustici, effetti assortiti, e una citazione (nell'ultima parte di
The Bottomless Pit Tale) de
La lontananza di
Modugno, giusto per gradire.
È sbalorditivo come questi ragazzi mantengano il controllo della situazione ed eseguano parti così complesse alternate a repentini cambi di tempo, atmosfere ed inserti elettronici, il tutto contemporaneamente e senza battere ciglio. Come se due gatti si azzuffassero su una pila di spartiti di 20 opere diverse e i musicisti, sempre composti e senza fare una piega, suonassero tutti i fogli che gli capitano sotto, senza fermarsi un istante. Folle!
I primi due minuti della prima canzone danno l'illusione di trovarci davanti all'ennesimo lavoro di technical death, impressione che viene presto smentita andando avanti con l'ascolto, veniamo infatti investiti da una pioggia di riff (mai lo stesso due volte di fila), complesse strutture ed armonie, cambi di tempo che fanno sembrare, che so, i Suffocation dei suonatori da 4/4. Ho ascoltato il disco parecchie volte e tutt'ora, riascoltandolo, non riesco a seguirne con la mente tutti i movimenti tanto è complesso ed imprevedibile. Forse è questo il suo limite.
Là dove i maestri del genere riescono a legare divagazioni strumentali e geniali intuizioni con un "senso" dando alla canzone una direzione, gli
Agony Face a causa dell'esasperazione di certe soluzioni intricate, rischiano di autocelebrarsi in un mare di brutalità perdendo la bussola. Aggiustando qualcosina qua e là possono diventare mostruosi, oggi sono ancora parzialmente caotici.
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