Francamente, prima di approcciarmi a quest’album, i
Valdur mi erano del tutto sconosciuti; è stato l’artwork, davvero intrigante (anche se non ho ancora ben capito cosa ritragga), a stuzzicarmi. Così, svolgendo un po’ di ricerche su internet, ho scoperto di avere a che fare con un trio proveniente dalla California. Ciò, tuttavia, non deve trarre in inganno: niente spiagge assolate, surf e pulzelle discinte. Ci troviamo a Mammoth Lakes (gran bel nome!), sperduto paesino di montagna vicino al confine col Nevada.
In una piccola comunità, circondati da roccia, neve e conifere, i nostri sono evidentemente riusciti ad assorbire le lezioni dei maestri scandinavi, convogliandole in un sound allucinante, oscuro e ostile.
L'ibrido black/death dei
Valdur è così: sprezzante, elitario, del tutto disinteressato all’ascoltatore, cui non concede un singolo attimo di respiro. Anzi: come la bambina posseduta dell’Esorcista, ci vomita addosso una velenosa colata di riff spietati, di blast beat a moto perpetuo e di spaventose vocals, che sembrano provenire dalle viscere della terra e narrano di Satana e guerra.
Trovo sia concettualmente errato soffermarsi sui singoli brani. Certo, qualche episodio in grado di spiccare ci sarebbe anche (
Death Winds Will Cleanse in primis), ma è indubbio che
At War With vada affrontato tutto d’un fiato, senza sosta, considerando i tre quarti d’ora di durata un unico, nero monolite di odio.
Come intuirete, l'assenza di appigli melodici costituisce al tempo stesso pregio e limite: pregio per chi ancora considera il black metal l’estrinsecazione musicale della sofferenza, per chi è cresciuto con certe sonorità e non ha paura di affrontare un viaggio musicale disagevole, al termine del quale si sentirà esausto e confuso.
Limite per chi non sia avvezzo al genere, e soprattutto per chi non abbia intenzione di investire tempo e attenzione: fruendone distrattamente,
At War With vi apparirà come un insensato coacervo di casino cosmico (il famigerato “effetto phon”, che rende i dischi black ascoltati a basso volume simili a un indistinguibile brusio di sottofondo, si manifesta qui con particolare forza).
Un lavoro ostico dunque, che tuttavia sarebbe un grave errore snobbare aprioristicamente: la distorta bellezza del caos vi alberga.
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