Praticamente dal nulla sbuca fuori qui nella nostra penisola un nuovo progetto black metal, gli
Iblis, una one man band dedita al metallo nero che più nero non si può. Mente e padre padrone del progetto è tale
Avdere Gvstav, già bassista dei romani
Noctifer. A chiarire subito le sue intenzioni ci pensa una scritta che campeggia sul booklet del CD: ‘Iblis plays monotonous black metal exclusively’ (e come dargli torto…). Parrà certo chiaro a tutti, quindi, che il nostro Avdere voglia riportare alla luce (o meglio, all’oscurità) le mefistofeliche sonorità norvegesi dei primissimi anni ’90, quando il black metal era sinonimo di marciume, malignità palpabile, ed era ancora lontanissimo dall’evoluzione che avrebbe avuto di lì a poco e che lo avrebbe portato prepotentemente nel mainstream della musica metal, con cori sinfonici, tastiere, e via dicendo. E, per fare questo, Avdere si è rinchiuso nel suo studio privato ed ha scritto, suonato e registrato per intero questi sette brani, affidando poi il lavoro di mastering agli Endarkerstudios di
Magnus Devo Andersson dei
Marduk. Come è logico che sia, il sound è veramente e volutamente grezzissimo, e neanche l’intervento di Andersson è riuscito a limarlo qua e là, evitando, in questo modo, che il tutto perdesse quell’aura arcana e mistica che Gvstav voleva riprodurre, anche se personalmente avrei dato una spinta in più al sound generale degli strumenti, che non avrebbe di certo snaturato nulla, anzi, dato che l’impressione che si ha è che si sia voluto rendere giustizia esclusivamente alla voce, tralasciando un po’ troppo tutto il resto, batteria in particolare. Ad ogni modo, in questo CD non c’è spazio per compromessi, non c’è spazio per tecnicismi (anzi, spesso e volentieri c’è anche qualche errore di esecuzione, credo volutamente lasciato al proprio posto), qui ci troviamo davanti ad un viaggio nell’oscurità più profonda, e il ripetersi morboso dei pochi riff che compongono l’album aiuta ad entrare quasi in una sorta di trance, dalla quale si esce solo alla fine della titltrack, posta come sigillo dell’album. Indi per cui, inutile cercare un brano che colpisca più degli altri. O vi addentrate in “Waswas” nella sua totalità, o non riuscirete ad apprezzare appieno le intenzioni di Gvstav, visto che, come già sottolineato, oltre l’attitudine e l’atmosfera non c’è molto altro dal punto di vista dei contenuti musicali in quanto tali… Solo per estremisti nostalgici e veri adoratori della nera fiamma, gli altri non riuscirebbero ad entrare in sintonia con questo album, sia per la sua peculiarità, sia per l’eccessiva lunghezza dei brani, sia perché alla lunga il nostro perde un po’ il tiro e c’è un calo, fortunatamente risollevato dalla titletrack prima della chiusura dei giochi…
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