Non è un compito semplice quello di recensire due album dei
Dark Funeral in rapida successione: il rischio di risultare ripetitivi è molto alto.
Loro, d’altra parte, questo problema non devono esserselo mai posto, visto che per la quarta volta della loro carriera danno in pasto al pubblico un platter che non si scosta di un millimetro dalla ricetta sonora che li ha resi celebri.
La metterei in questo modo: se posto in relazione ai predecessori,
Angelus Exuro Pro Eternus, originariamente uscito nel 2009, non aggiunge granché (pur risultando un pelo superiore ad
Attera Totus Sanctus), e denota un conservatorismo compositivo davvero inestirpabile.
Se decontestualizzato, e valutato quindi per quello che è, l’ultimo prodotto della bottega
Dark Funeral si dimostra invece piuttosto impermeabile a critiche di sorta.
Salutata la piovra impazzita
Matte Modin, i nostri fanno sedere dietro le pelli un
Dominator che, nome risibile a parte, riesce nell’impresa di non far affatto rimpiangere l’illustre predecessore.
La produzione è pazzesca come sempre, mentre l’artwork non convince nemmeno stavolta (tornate alle tinte blu dei primi due album e smettetela di ritrarre diavoli brutti, vi prego!).
Le lyrics, dal canto loro, seguitano perlopiù nell’opera di glorificazione del nostro caro amico Satanasso e, parallelamente, di ridicolizzazione dei cristiani, dipinti come poveri pirla smidollati.
Come notate, la buia galassia in cui gravita il gruppo svedese è rimasta immota…
Immota, ma non per questo priva di attrattive: la doppietta iniziale
The End of Human Race e
The Birth of the Vampiir è di quelle da ricordare, colma di riff dissonanti affilati come rasoi, ritmiche al fulmicotone e screaming di grande livello da parte del solito, ineffabile
Emperor Magus Caligula.
Sarebbe un errore, inoltre, sottovalutare pezzi come la title track e
My Latex Queen, autentiche stilettate di black metal feroce e senza fronzoli.
La vera chicca del platter, tuttavia, va individuata in
My Funeral, brano dal feeling morboso, macabro, davvero sinistro.
Come per
Attera Totus Sanctus, completano la re-issue alcuni brani live, registrati a Buenos Aires nel 2006: pubblico assente ingiustificato, ma esecuzioni impeccabili.
Angelus Exuro Pro Eternus, nel suo complesso, si dimostra lavoro più che discreto. Si potrà obiettare che tale risultato si raggiunge agevolmente allorquando si compone sempre lo stesso disco e non si mutano di una virgola le proprie coordinate musicali.
Ciò è vero sino a un certo punto: il nostro genere favorito è colmo di band che, pur mantenendo il proprio sound inalterato, si sognano la continuità qualitativa dei
Dark Funeral.
Tanto vale farsene una ragione: il combo svedese non si è tramutato in quel fantasista tutto tecnica e classe che il debut
The Secrets of the Black Arts poteva lasciar presupporre; piuttosto, abbiamo a che fare con un roccioso, arcigno mediano di contenimento, che potrà garantire tanta sostanza ma da cui non si potrà pretendere la giocata di puro genio.
Chiunque abbia giocato a calcio (io sono una pippa, per la cronaca) sa quanto siano utili giocatori di quel tipo.
Quindi, se nella vostra rosa volete solo puri numeri 10, alle volte irritanti ma zeppi di talento, i
Dark Funeral non fanno per voi; se invece cercate mestiere e costanza di rendimento, avete trovato l'elemento ideale.