Li conoscevo solo per aver preso parte ad una delle tante “occasioni perse” della mia esistenza (la
band, assieme ai The Pythons, ha “aperto” il recente concerto meneghino degli Harem Scarem …) e oggi che ho potuto ascoltare di cosa sono capaci gli
Old Man’s Cellar, devo dire che al rammarico già colossale per aver mancato i favolosi canadesi, dovrò aggiungere pure quello per non aver visto all’opera
de visu questi eccellenti
melodic rockers modenesi.
“Damaged pearls”, debutto sulla lunga distanza dei nostri, è, infatti, un dischetto prezioso che trasmette innanzi tutto freschezza e cultura specifica, seguite da un’imprescindibile competenza tecnica, spesso data
quasi per “scontata”, ma poi piuttosto significativa quando diventa parte integrante di quadro artistico ad ampio spettro.
E allora diciamo che non sono moltissimi i gruppi che possono contare su un musicista e compositore come Freddy Veratti, un
guitar-hero dotato di notevole lucidità esecutiva e di grande gusto melodico, capace di tessere le sue incisive trame armoniche senza soverchie invadenze, ben consapevole che una “canzone” non deve essere solo una palestra di virtuosismo, facendo tesoro di quanto esposto da maestri come Van Halen, Lynch, Bettencourt o Gilbert.
Suo degno contraltare, come da migliore tradizione, è, poi, Riccardo Dalla Costa, in possesso di una pregevole gamma timbrica, il cantante pilota con sicurezza ed espressività vocale (anche se in sede corale, forse, c’è bisogno di un ulteriore perfezionamento …) il raffinato
songwriting degli emiliani, mentre per un’accurata predisposizione all’impulso dinamico e per un’appropriata “coloritura” sonora, è necessario destinare parole d’elogio anche alla puntuale sezione ritmica Fedrezzoni / Scollo e alle brillanti tastiere di Max Boni, rispettivamente.
Insomma, qualora siate estimatori di "gente" come Night Ranger, Extreme, White Lion, Bon Jovi, Autograph, Skid Row, Danger Danger e Mr. Big, se i
riff de-luxe e le voci pastose e vibranti riescono a sedurvi fin dal primo ascolto e nel caso in cui, soprattutto, cerchiate qualcuno che sappia veramente trattare la “materia” con maturità e cognizione di causa, il mio consiglio è di affidarsi tranquillamente agli Old Man’s Cellar e di preferirli a molti altri onesti mestieranti “d’importazione”, talvolta maggiormente accreditati esclusivamente per ragioni “geografiche”.
Effettuare selezioni all’interno del programma non è un’operazione semplicissima, e questo, se vogliamo, può essere considerato sia un “pregio”, sia un piccolo “difetto” … l’assenza di un brano davvero “trainante”, non impedisce, però, alla deliziosa
title-track, alla crepuscolare “Amber lights”, allo spiazzante
electro-AOR “Don’t care what’s next”, alla frizzante “The years we challenge” o ancora all’intensa “Is this the highest wave?” (verosimilmente l’assoluto
best in class della situazione …) e alle energiche “Soul exercise” e “Undress me fast” di avvicinarsi praticamente tutte al “concetto” di cui sopra, e di rappresentare complessivamente l’apice del lavoro svolto da una formazione di considerevole talento ed enorme prospettiva, su cui puntare decisamente fin da ora.
Non rimane che sperare, dunque, di avere la possibilità quanto prima di assistere ad un’esibizione live degli Old Man’s Cellar, magari nuovamente in compagnia di qualche nome fondamentale della “scena” … intanto, per consolarmi dell’ancora bruciante mancanza, torno a godermi “Damaged pearls” …