Penso sia inconfutabile che oggi come oggi
Dregen, Andreas Tyrone Svensson all’anagrafe, rappresenti la quintessenza di un certo tipo di rock… Co-fondatore dei
Backyard Babies prima e degli
The Hellacopterspoi, ha al suo attivo collaborazioni con mostri sacri come
Tyla (ex
Dogs D’Amour),
Ginger (
The Wildhearts), e recentemente
Michael Monroe, con il quale ha inciso l’ottimo “
Horns and halos”. E non contento di aver partecipato ad un discone del genere, a pochi mesi di distanza il nostro svedesino rampante decide di dare libero sfogo al suo estro compositivo tirando fuori il suo primo disco solista, intitolato semplicemente “Dregen”. Facile immaginarsi con cosa abbiamo a che fare: un rock sporco e grezzo, come non se ne sentiva da tempo, se non negli album del già citato Monroe. “Dregen” al momento incarna alla perfezione quel concetto di rock che tanto andava negli anni ’80, fatto di whisky, sudore, sporcizia, droga, energia, strafottenza, sesso, e tutto quanto altro c’è di umorale, decadente e sanguigno, andando a colmare un vuoto purtroppo lasciato vacante già da troppo tempo da quelle band che proprio in quegli anni spadroneggiavano e infuocavano mezzo mondo… E per evitare di allontanarsi troppo dai canoni del genere, sono solo dieci le tracce presenti, peraltro dieci potenziali hit single, con una durata media di tre minuti e mezzo, ideali per far scapocciare e non tediare. Ed è proprio l’immediatezza la parola chiave di questo album. Scorre via che è un piacere, e, quando sarà finito, state pur certi che ripremerete più e più volte il tasto play, tanto sarete rimasti coinvolti nell’ascolto, complice anche la freschezza compositiva ed una certa varietà della proposta, che, senza deragliare dai binari, riesce a colorare con varie sfumature i diversi brani. Rock and roll, blues, qualche spruzzata irriverente di punk, sleaze rock, sono le componenti essenziali lungo le quali si snodano i pezzi, con Dregen che si limita a macinare riff su riff e a proporci una degna prova vocale, senza strafare. D’altra parte con comprimari del calibro di Sami Yaffa (
Hanoi Rocks,
New York Dolls,
Michael Monroe) e Nicke Andersson (ex
Entombed,
The Hellacopters), John Calabrese (
Danko Jones, che peraltro appare come special guest), si va sul sicuro, senza bisogno di tecnicismi e virtuosismi inutili, stiamo parlando di gente che trasuda rock da ogni poro… E poco importa se qui e lì vi sembrerà di ascoltare qualche riff già sentito in passato, dai
Motorhead agli
ZZ Top ai
Kiss ad
Alice Cooper, perché è un giusto tributo che non inficia la qualità di brani. Brani strepitosi, come la funkeggiante “6-10”, la rockosa opener “Divisions of me”, l’irriverente “Just like that”, la sanguigna “Bad situation” o la punkeggiante “Refuse”, fino alla scatenata “Mojo’s gone”, che mette il sigillo al disco. Discorso a parte, invece, merita “Flat tyre on a Muddy Road”, un personalissimo tributo al blues del delta che vi lascerà, ne sono sicuro, a bocca aperta, e che va a candidarsi, in questo genere, a miglior canzone del 2013, un brano che da solo giustifica l’acquisto di questo album.