“It’s not my cup of tea” sono soliti dire gli inglesi quando s’imbattono in espressioni artistiche (o altro) lontane dalla loro sensibilità. Con tutta l’onestà intellettuale di cui son capace, dichiaro sin d’ora che la proposta dei
Bear non calza necessariamente a pennello con le mie preferenze musicali; nonostante ciò credo di poter formulare, dopo aver concesso al loro
Noumenon svariate ore di attento ascolto, un giudizio sereno e ragionevolmente competente.
Riassumendo all’osso: bravi, molto bravi.
Volendo approfondire un attimo (altrimenti mi decurtano lo stipendio!), segnalo che questa scheggia impazzita proviene da Anversa, graziosa cittadina belga: sede insolita per una band dedita al più moderno e micragnoso math-djent-prog-tech-core (se volete aggiungete pure qualcos’altro: che so, post e noise), ma tant’è.
Fatto sta che, provenienza a parte, questi quattro giovincelli sanno il fatto loro: padronanza tecnica di prim’ordine, chiarezza d’intenti e songwriting a fuoco. Un ottimo viatico per un futuro prodigo di soddisfazioni.
Nei letali, schizofrenici, alienanti (nel senso buono) dieci brani che compongono il platter, troverete brandelli di
Dillinger Escape Plan,
Slipknot,
Meshuggah,
Fear Factory e
Converge, previamente inseriti in un frullatore sonoro, amalgamati e sparati a mitraglia sul grugno dell’ascoltatore.
Tuttavia, superato lo stordimento iniziale (pressoché inevitabile, se non siete appassionati del genere), si comprenderà che il caos dei nostri è piuttosto organizzato, e che le canzoni non fungono affatto da mero sfoggio di tecnica e violenza fini a sé stesse.
Ci si accorgerà inoltre, e con piacere, dell’ipnotico chorus di
Boxer, del groove assassino di
Centerfold, della spaventosa aggressività di
Mirrors, o ancora del magistrale riffing di
Mantis e
Rain (forse la migliore del lotto). Impreziosiscono l’opera dei suoni mostruosi e un artwork accattivante.
Se mi è permesso, consiglierei comunque ai
Bear una maggior diversificazione delle composizioni, magari inserendo qualche melodia in più o rallentando di quando in quando, come avviene nella grungeggiante
Aconite. Credo che rendere un pelo meno convulsa la loro proposta (senza snaturarsi, per carità) potrebbe condurre alla definitiva quadratura del cerchio in termini di sound.
Al di là dei sacrosanti gusti personali di ognuno, trovo sia abbastanza lampante che questi ragazzi abbiano in dote un talento notevole; posso solo augurarmi che siano in grado di farlo fruttare appieno. E sarei davvero curioso di vederli suonare dal vivo.
PS: Il termine Noumenon, nella filosofia di Platone, indicava tutto quanto non potesse essere percepito nel mondo tangibile, e a cui fosse possibile giungere solo attraverso il ragionamento. Per quel borsone di Kant, invece, il noumeno rappresenterebbe l’essenza pensabile, ma inconoscibile, della realtà in sé, di cui tuttavia costituirebbe il fondamento.
“E chi se ne frega?” direte voi. In effetti…
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