Dev'esserci un errore nella copia che mi è arrivata del nuovo
Kindly Bent to Free Us, terzo disco sulla lunga distanza dei
Cynic. Non credo che la formazione che nel 1993 registrò quel capolavoro death/prog/jazz/fusion di
Focus abbia potuto partorire un simile abominio sonoro. Non credo che degli straordinari musicisti come
Reinert, Malone e
Masvidal, abbiano potuto ideare un disco simile.
Invece tutto questo è accaduto, con buona pace dei vecchi sostenitori e di chi, spinto dalla curiosità, si è avvicinato positivamente a
Traced in Air.
Se l'album appena citato era un disco sicuramente diverso, che in pochi si aspettavano dopo tanti anni, col suo suono spaziale e "improvvisato" (ma comunque, forse, con un suo perché) nel nuovo lavoro di buono non c'è davvero nulla.
Chiariamolo subito: il disco non è metal, ma proprio per nulla, ciò non incide però su quel numerino piccolo piccolo che vedete a fianco.
Otto pezzi per quaranta minuti di musica fiacca e poco ispirata, senza brani da ricordare e, paradossalmente, il pezzo rilasciato per promuovere il disco (
The Lion's Roar) si rivela uno dei meglio riusciti assieme alla
title track. Sono abituato, quando ascolto per la prima volta un disco di cui devo fate la recensione, a farmi degli appunti, 2/3 righe veloci per ogni canzone in cui annoto le impressioni di ogni traccia. Beh, il disco è finito e il foglio è rimasto quasi bianco. Questo la dice lunga su cosa abbia da offrire questo
Kindly Bent to Free Us (oppure è prova della mia sordità incombente, fate voi).
Title track, dicevamo, con percussioni finalmente più incisive e riff interessanti, il lavoro di basso è sempre in evidenza, sia per le parti di accompagnamento dove pulsa con insistenza, sia nelle sezioni in cui può prendersi più libertà e mostrare con precisione e fantasia l'abilità nel seguire certe linee. L'altro "scossone" dal mare di tranquillità emerge su
Moon Heart Sun Head, in cui possiamo addirittura sentire un assolo; 30 secondi di attenzione per poi ripiombare nel nulla. Altro pezzo non totalmente da buttare è
Holy Fallout, che dopo un inizio con una voce insulsa, si riprende verso il minuto e 40 con un riff incisivo, per poi regalarci un finale "esplosivo" in cui i nostri, per qualche istante, si ricordano chi sono.
Il resto è il nulla, una lagna infinita in stile
indie/pop che in alcuni frangenti, soprattutto per la voce e per certi effetti, richiama alla lontana
Beatles (
Gitanjali) e
Muse (
Endessly Bountiful) oppure gli
Anathema più recenti, senza naturalmente possedere lo spessore di queste band.
Altra tegola che cade su questa sfortunata uscita è la produzione. Non un totale disastro, ma non è aperta, anzi è quasi claustrofobica, il che rende il lavoro di basso più evidente ma taglia le gambe alle chitarre che ultimamente erano molto ariose/spaziali ed effettate, e alla batteria che risulta piatta.
Sono d'accordo sull'evoluzione musicale di un gruppo, sono d'accordo sulla sperimentazione però c'è un limite.
Focus e questo nuovo
Kindly Bent to Free Us non hanno nulla in comune, nulla. Uno era un disco geniale e innovativo, l'altro è un ammasso
pop/rock. Se l'avessi comprato solo per il nome in copertina, mi sarei incazzato non poco ritrovandomi in mano un sottobicchiere da 20 euro. Questo è il punto. Hai cambiato totalmente genere? Cambia nome! E non ditemi che anche
David Bowie o
Iggy Pop hanno cambiato genere più volte nella loro carriera, perché è un paragone che non ci azzecca proprio.
Ci stanno poi tutte le critiche eh, io non ho la verità, ho la mia opinione sincera e motivata, però che non mi si venga a dire "non ti piace solo perché non è metal". Non cerchiamo alibi a un disco che poteva tranquillamente non esistere.