Si sono formati nel 2005 ma è solo nel 2012 che i norvegesi
Frail Grounds riescono ad esordire sulla lunga distanza con un lavoro autoprodotto, impegnativo ma molto interessante, che risponde al nome di
The Fields of Trauma, qui distribuito per la prima volta da
Hostile Media (UK).
Impegnativo dicevo, infatti la prima sensazione all'ascolto è quella di essere all'interno di un film con storie di rabbia, di dolore e fatica che a volte sfociano nella disperazione poi nella quiete, nella solitudine, per tornare infine a graffiare e ruggire. Nel promo non ci sono descrizioni ma tra i titoli delle canzoni e quanto sono riuscito a capire dai testi (non ci sono neanche quelli) posso dire che si tratta di un concept, la storia di una spedizione in Siberia, che parla di quanto lontano una persona possa spingersi, in condizioni estreme, tra gelo, desolazione e orrore, per raggiungere un senso di pace (vendetta?).
La band affronta questo cammino attraverso brani variegati dalla lunghezza media elevata costruiti con stili differenti che toccano
power, prog, melodic death e un pochino di
gothic.
Dopo il prologo,
The Expedition inizia con i suoi 8 minuti richiamando subito i
Dark Tranquillity, ma non è che una parte della canzone, il growl iniziale viene subito abbandonato in favore di un cantato pulito e di soluzioni più ragionate, archi e mestizia regnano nella parte centrale prima che il pezzo si riprenda con buonissimi assoli dei due chitarristi e torni aggressivo nel finale. La canzone appena descritta funge solo da esempio, su
Freeze Me sono infatti le tastiere ad essere protagoniste dando l'idea di qualcosa di sinfonico prima che gli effetti e i riff di chitarra le diano un tono più moderno, il cantato pulito si fa più espressivo con un mood gotico e una voce "da film" fa la sua comparsa più volte. Successivamente
A Rural Trauma fa emerge in maniera maggiore il lato progressive del gruppo, le vocals sono pulite e ci sono pochissime concessioni al growl, ricorda certe cose degli
Elegy e può essere apprezzato (come poi in molti altri brani) il pregevole lavoro di
Thomas Oppedal al basso e quello di
Magnus Nødset alla batteria, picchia pelli anche di
Repulsive Aggression e
Concrete. Non proseguo oltre con la descrizione dettagliata delle canzoni, volevo solo mettere in evidenza l'abbondanza di stili adottata dalla band, paradossalmente, nonostante la complessità di certi passaggi e soluzioni, non è difficile lasciarsi prendere da questo disco che trascina fin da subito grazie alla sua orecchiabilità mista a progressività. Tranne in alcuni casi (
Origin) dove c'è veramente un continuo cambio di umore, non si fa in tempo ad entrare in un mood più rilassato che ecco che per 10 secondi scatta l'aggressività per poi tornare subito prog, è un casino starci dietro!
Ci sono sì richiami ai sempiterni
Dark Tranquillity come già detto, ma c'è anche l'ampio uso di soluzioni che rimandano a band come
Manticora o
Evergrey. L'utilizzo della voce in growl, ben interpretata e sempre comprensibile, è in generale limitato, mente dal lato strumentale il disco è suonato in modo veramente ottimo, con grande capacità di tutti i musicisti, avvalorata da una produzione perfetta, l'album è mixato ai
Lionheart Studios e masterizzato da
Jens Bogren (
Fascination Street Studios).
Analizzando invece i difetti, citerei la lunghezza dei brani che a volte si rivela un filo eccessiva e rischia, col susseguirsi degli ascolti, di portare qualche momento di stanchezza, anche perché essendo presenti diversi stili, ti aspetti quel guizzo in più che a volte non arriva.
Il lavoro è pretenzioso e articolato ma davvero ben realizzato e non è destinato ai soli amanti delle sonorità progressive ma, grazie proprio alla sua multisfaccettata personalità, può catturare l'interesse di chi vuole cimentarsi con qualcosa di spessore.
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