Gli statunitensi
Carnifex giungono al quinto album in meno di dieci anni di carriera e si suppone che questo “
Die Without Hope” sia l’apice di un percorso compositivo che li porta, ad oggi, a definirsi deathcore, etichetta che vuol dire tutto e niente.
Vuol dire tutto, perché descrive appieno un sound feroce e claustrofobico, giocato sul doppio attacco vocale growling/screaming, dalle ritmiche di cemento.
Vuol dire nulla, perché l’ascolto del disco non lascia alcuna emozione nell’ascoltatore, risultando il compendio di centinaia di dischi, e perciò già vecchio, sciatto e inutile, con un songwriting che si sforza di tirare fuori dal cilindro il fatidico coniglio, ma col solo risultato di essere noioso, ripetitivo, senza alcuno spunto di interesse.
Un disco anonimo, incapace di lasciare traccia e già dimenticato prima ancora di premere il tasto stop del lettore. La fiera del già sentito un miliardo di volte.
Prodotto bene, suonato bene, con tutti gli annessi e i connessi. Però, ci dispiace constatarlo ancora una volta, per taluni la musica non è più emozione, ma industria, e come tale si limitano a produrre qualsiasi cosa messa in note.
Non voglio essere troppo duro con i
Carnifex, che sicuramente troveranno degli estimatori. Ma io piuttosto che ascoltare il loro “
Die WIthout Hope” mi sparo una fucilata nei coglioni.
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