Blood Covenant, nome che a molti non dirà nulla, ma che per il metal caucasico significa molto. Nati nel 2001 dal chitarrista Segor (Sergey Areskin) e dal batterista Garegin (Garik Amyan) sperimentano un symphonic-black
christian oriented derivato dai forti influssi religiosi propri della loro terra, l'Armenia. Primo paese al mondo ad adottare il Cristianesimo (301 d.C.), la suddetta nazione ha subito diversi traumi nel corso della storia, che l'hanno portata a perdere gran parte del territorio, ma a conservare faticosamente il credo religioso. Premessa necessaria questa per affrontare l'ultimo album dei Blood Covenant. Sottolineo che non utilizzerò il tanto dibattuto termine
unblack per questo genere di musica, in quanto mi sembra decisamente un controsenso, preferendogli
white o
christian metal, nonostante molte caratteristiche tecniche siano aderenti al più conosciuto black.
Il disco in questione è la terza fatica dei Blood Covenant, dopo
The Day of the Lord (2003) e
The Blood of The New Covenant (2007), e già si può notare la strana scelta di stendere i titoli delle canzoni in lingua inglese invece che russa, come sono in realtà i testi. Come già accennato sono presenti molti elementi distintivi del black metal, soprattutto del symphonic, visti i diversi arrangiamenti orchestrali, amplificati nelle due strumentali strettamente sinfoniche
Funeral of the Dark Kingdom e
Golgotha. Proprio in questi due pezzi si riscontrano i forti influssi della musica liturgica armena che regalano al gruppo una marcia in più, rendendo l'album ancor più interessante. Gli arrangiamenti permangono per tutta la durata dell'album, partendo dalla
title-track che alterna momenti di chiara influenza del
christian metal norvegese (Segor stesso dichiarò che la musica dei Blood Covenant è ispirata a band come Extol e Antestor) con momenti in cui il cantato, questa volta pulito, sembra venire dagli anni '80 (ricordano quasi i tempi d'oro della più celebre heavy-metal band russa, gli Arija). La terza canzone,
Unseen War, si assesta sulle linee della precedente, ricalcandone le caratteristiche. La struttura dei pezzi rimane pressoché invariata, almeno fino a quello che è stato il primo singolo del disco, di cui è stato girato anche un video,
Hayr Mer. Con questa track e la successiva,
At the Cross, si arriva ad un punto di rottura dell'album, dove i Blood Covenant vogliono far risaltare le loro radici in un modo del tutto insolito.
Hayr Mer è infatti la "messa in metal" del Padre Nostro in lingua armena. La musica avanza lenta, quasi come in una preghiera, con cori che ricordano esplicitamente i canti liturgici. Scelta del tutto coraggiosa e discutibile, in un paese dove il metal non è ancora ben visto (e conosciuto).
At the Cross invece è un'ulteriore pezzo strumentale, dove il metal incontra uno degli strumenti tradizionali armeni più conosciuti al mondo, il
duduk, suonato da Vahe Ayvazyan. Il tutto si fonde in una bella mistura di arrangiamenti sinfonici e suoni distorti, dove il suddetto strumento la fa comunque da padrone, enfatizzando il suono doloroso del pianto di chi sta davanti alla croce.
Terminando posso solo dire di aver un parere positivo di quest'album, consigliando a chi vuole affrontarlo di non fermarsi al primo ascolto, ma di proseguire.
Gli album sono liberamente scaricabili dal sito ufficiale della band: http://bloodcovenant.moy.su
Video di At the Cross (2013)
Video di Hayr Mer (2013)