Ero veramente curioso di verificare se il ritorno sulle “scene” dei
Mayfair sarebbe stato all’altezza del passato artistico della
band austriaca, un fulgido esempio (non adeguatamente riconosciuto …) di fascinosissima contaminazione sonora, passato alla “storia” come
oriental wave metal.
“Schlage mein herz, schlage”, arrivato a completamento di una doverosa operazione di rivalutazione iniziato con la ristampa arricchita dell’
Ep di debutto “Behind …”, ci riconsegna una formazione (con una nuova sezione ritmica) fondamentalmente ispirata dai medesimi presupposti espressivi che l’hanno da sempre caratterizzata, ovvero la ricerca di una via personale ed emozionante, all’interno del vasto “calderone”
prog-metal, che sia capace di trasmettere all’ascoltatore un profondo senso di alienazione e disagio interiore.
Ritrovare una mistura stilistica così conturbante ed ammaliante (e al tempo stesso ancora abbastanza sorprendente pure per il terzo millennio …) e la voce inquieta di Mario Prünster (lo ripeto … paragonabile ad una
febbrile ibridazione timbrica tra Geddy Lee e Brian Molko!) è ovviamente una grande soddisfazione per chi, come il sottoscritto, segue il gruppo dagli esordi, mentre lievemente meno piacevole è riscontrare qualche piccolo ammiccamento ad una certa scuola “gotico-alternativo” alemanna di notevole successo, non particolarmente molesto, in realtà, e tuttavia in qualche modo indice di un adeguamento musicale poco congeniale alle gesta dei migliori Mayfair.
Un “segnale debole” (“debolissimo”, probabilmente …) che si manifesta sottotraccia nell’ampio uso dell’idioma
germanofono e in talune atmosfere sonore (“Der abschied”, ad esempio), ma che non vorrei fosse l’avvisaglia di una china “pericolosa”, percorsa nel tentativo di recuperare il tempo perduto e di apparire forzatamente “moderni” e contemporanei (una sensazione già provata, seppur in un contesto diverso, ai tempi di “Fastest trip to cyber-town”, per la verità).
Al netto di vaghe suggestioni magari fin troppo
apprensive e pedanti e di qualche sporadico calo di tensione, rimangono una manciata di brani scritti e interpretati con ingente trasporto emotivo … pezzi magnetici e schizoidi come “Firestorm”, ipnotici come “Wwwrong” e la visionaria "Tric trac”, intensi come la desolata "Island” o ancora nervosamente spigliati come “Abendp_rno” (interessanti le derive
post-punk …), glaciali come “Du allein” e tenebrosi come “Bitter or sweet”, tutta “roba” sicuramente lontana da tanta retorica di “genere” e degna di considerevole attenzione.
In definitiva, il
cuore dei Mayfair
batte ancora in maniera forte e carismatica, per un ritorno, tutto sommato, piuttosto convincente.