Credo di non esagerare affermando che
"The Serpent & The Sphere", quinto album di lunga durata degli
Agalloch, fosse uno dei più attesi del 2014 da parte di chi mastica metal e non solo.
Il gruppo della triste Portland, infatti, si è ritagliato, in breve tempo, uno spazio di assoluto rilievo nella scena in virtù di una proposta musicale tanto affascinante quanto difficile da catalogare.
I primi tre lavori del gruppo americano sono stati capaci di sublimare il concetto di metal atmosferico. Lo hanno plasmato, nutrito e reso unico.
Non nascondo, d'altro canto, che il loro ultimo lavoro
"Marrow of the Spirit" mi aveva lasciato l'amaro in bocca per il suo non sapersi focalizzare verso una forma artistica "superiore" come accaduto, invece, con i suoi predecessori.
Capite bene, dunque, che il mio approccio al nuovo album sia stato cauto.
Troppa la paura di restare deluso da uno dei gruppi che più mi aveva entusiasmato negli ultimi dieci anni.
Cautela e, non troppo sopita, speranza.
Speranza...
Il serpente e la sfera. Un cerchio che si chiude. Un senso di circolarità che attraversa tutto l'album, dall'inizio arpeggiato alla fine. Arpeggiata pure lei.
Musica che gira intorno quindi.
Ma quale musica?
Come sempre in casa
Agalloch è difficile rispondere.
Doom e Death fusi insieme. Certo. Il primo, splendido, brano è così. Pesantissimo. Atmosferico, Sofferente.
Poi. Accelerazioni quasi Black metal come non se ne sentivano da parecchio in casa americana.
Ancora. Post metal e Shoegaze che piacerebbero agli Alcest.
Folk negli interludi tra le sfuriate metalliche.
Dark, quasi nostalgico.
"The Serpent & The Sphere" è un album
oscuro.
Probabilmente il più cupo mai composto dagli
Agalloch. Un album sofferente e sofferto, colmo di angoscia e di improvvisi squarci melodici che lo rendono intimo e suggestivo.
John Haughm non canta. Sussurra, anche quando lo scream è feroce. Si ha come la sensazione che il gruppo voglia portarci a riflettere, facendoci pensare alla vita e alle sue contraddizioni.
Un pensare, in ogni caso, sempre e costantemente al buio.
Qui c'è poca luce, e se c'è è comunque fioca.
I brani, mediamente lunghi, vanno ascoltati e riascoltati. Non sono immediati nemmeno se durano un paio di minuti. Sono piccoli mondi all'interno di un universo più grande. Piccoli mondi nei quali nessuna nota è uguale a quella che la precede, piccole realtà nelle quali non si sa mai cosa aspettare.
Ecco che improvvisa, infatti, arriva la melodia che fa sognare, o il ritmo inatteso,
Aesop dietro le pelli è fenomenale, oppure ancora il pattern di chitarra durissimo o il sospiro che incanta.
Questo è un album che va assimilato e va "atteso": prima che faccia effetto avrete bisogno di tempo.
Ma se gli concederete la vostra attenzione, lo amerete.
Lo amerete per il suo spessore emotivo, per il suo saper mescolare ingredienti tanto dissimili, per il suo osare in territori poco battuti, per il suo essere sincero e viscerale.
A quel punto il cerchio si chiuderà davvero e voi non ne uscirete più.