I
Crimson Dawn sono giunti al loro esordio discografico sul finire del 2013 e tra le loro fila ritroviamo anche alcuni musicisti che hanno già accumulato una discreta esperienza, ma quello che più importa è che il loro esordio li porta a distinguersi all'interno della scena Doom Metal tricolore.
E la nostra non è certo l'ultima arrivata nel genere, e lo hanno già dimostrato formazioni come Black Hole, Epitaph o Thunderstorm.
Dei fondatori dei Crimson Dawn è rimasto il solo Dario Beretta (ovviamente anche nei Drakkar) mentre Emanuele Rastelli (Crown of Autumn, Magnifiqat) ha successivamente lasciato il gruppo, che ora oltre al già citato Beretta è formato dal batterista Luca Lucchini (ex-All Soul's Day), dal cantante Antonio Pecere (Rapid Fire, Betoken, ex-Sigma), con il tastierista Emanuele Laghi, Alessandro Reggiani Romagnoli al basso e il chitarrista Marco Rusconi.
Un nutrito spiegamento di forze che su "In Strange Aeons" mette in atto un Doom Metal dalle marcate tinte epiche, che si impone già a partire da "Tower of Sin" (la prima vera e canzone che segue all'intro "Forge of the Aeons") con evidenti rimandi ai Candlemass e, andando ulteriormente indietro nel tempo, ai Black Sabbath dei primi eighites.
I primi intrecci di chitarra su "March of the Masters of Doom" fanno invece quasi pensare agli Iron Maiden più oscuri, quindi al Ronnie James Dio più epico, pur senza finire con il ricalcare pedestremente nessuno dei
maestri, con il cantante Antonio Pecere che si rende autore di un'ottima prova, la migliore in assoluto tra tutte quelle in cui ho avuto la possibilità di sentirlo all'opera.
Dopo questa parentesi Heavy, tocca a "Black Waters" rimettere al
servizio del Doom il suono dei Crimson Dawn, che comunque si concedono larghi squarci strumentali che trasudano di
seventies, in un apparente incrocio tra Candlemass e Deep Purple.
E' quindi evidente che anche i musicisti ci sanno fare, e dopo i Canti Gregoriani di "The Haunted Monastery" lo mettono ben in chiaro su "Scourge of the Dead" e l'autocelebrativa ed epica (con un approccio folkeggiante che ricorda i Falconer) "Crimson Dawn".
Prima della conclusione affidata alla riuscita cover di uno dei tanti
classici minori dei Black Sabbath: "Over and Over", troviamo ancora una doppietta di ottimi brani, quali l'evocativa e teatrale "Cosmic Death" e la più datata e cangiante "Siege at the Golden Citadel", che per la sua lunga durata e struttura si rivela la suite dell'album, dove ritroviamo la passione e la predisposizione del gruppo per brani dilatati e malinconici, ricchi di pathos e spunti interessanti.
Keep it alive, when destiny looms... Listen close what is this, not bird or plane
Could it be the review fucking with your brain
All it takes just one touch over one, two, three
With a flick of a switch turn on... Metal.it
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