Se non erano in molti ad attendere con ansia il ritorno dei
Prong (viste le propensioni del
rockrama contemporaneo e magari anche a causa di taluni
peccatucci individuabili nel passato artistico del gruppo) con il loro “Carved into stone”, è verosimile immaginare che la notevole qualità del lavoro del 2012 abbia instillato nel pubblico del
crossover un pizzico di superiore
apprensione per il suo successore, ancora una volta patrocinato dalla teutonica SPV Records.
Personalmente ero molto curioso di verificare la “tenuta” di Tommy Victor e dei suoi sodali, e devo dire che alla prova dei fatti “Ruining lives” mi ha provocato sentimenti contrastanti.
Da un lato viene confermata la tensione espressiva rilevata nell’ottimo precedente (e in tanti momenti del ricco repertorio dei newyorkesi), dall’altro il risultato complessivo appare leggermente meno intenso e coinvolgente, quasi come se la “fiamma” dell’ispirazione, seppur sempre abbastanza vivida, si stia lentamente affievolendo.
L’illuminata “ripetitività” della band, il suo monolitico magnetismo e la sua capacità di scorticare l’epidermide con
groove terremotanti e bordate di pura brutalità cibernetica, appaiono oggi meno
impressionanti e anche se il disco complessivamente è parecchio “fisico”, l’impatto sensoriale che deriva dal suo ascolto prolungato assume talvolta contorni sfumati, arrivando solo a graffiare dove invece dovrebbe incidere nel profondo.
Forse è semplicemente svanito “l’effetto sorpresa”, ma sinceramente credo che si tratti in realtà di un modesto “segnale d’allarme” da accogliere e valutare prima che la riconquistata attenzione di pubblico e critica sulla formazione americana finisca per volatilizzarsi di nuovo.
Ciò detto, addentriamoci nel “buono” di quest’
album, che, per la cronaca, è comunque consistente e s’individua innanzi tutto in “Turnover”, una travolgente e tipica
Prong-song, in "Windows shut”, ipnotica e sinuosa e in "Ruining lives”, una
title-track davvero conturbante con le sue sonorità tetragone, sinistre e cangianti.
Buone notizie arrivano anche dagli spasmi
techno-thrash concessi a “The barriers” e dalle vertigini
hardcore di “The book of change”, un po’ meno dalle mediocri "Come to realize” e "Chamber of thought”.
Sul versante maggiormente “melodico” e “affabile”, poi, piacciono l'atmosfera aliena di "Absence of light” e le cadenze sferraglianti e liquide di “Limitations and validations” (una sorta di Metallica psichedelici …), mentre non convince la superficialità di “Remove, separate self” e "Self will run riot”, rappresentazione di una modalità espositiva eccessivamente artefatta e manieristica.
In sede di commenti finali mi sento, dunque, di consigliare “Ruining lives” (e il suo
grandguignolesco e “nostalgico”
artwork!) a tutti i fans dei Prong e, in generale, agli estimatori del genere, auspicando contemporaneamente, per il futuro artistico della
band, il pronto recupero di quello slancio creativo necessario a tutelare un “pioniere” della scena nella conservazione di un ruolo da protagonista anche nelle frenetiche convulsioni musicali del terzo millennio.