Gli olandesi Entrapment pur essendo una one-man band di recente formazione (2009) con il qui presente
“Lamentations Of The Flesh” giungono già al secondo full lenght dopo aver dato alle stampe nel 2012 il debut
“The Obscurity Within...” I due anni intercorsi tra una prova e l’altra non hanno cambiato quasi per niente le carte in tavola, infatti Michel Jonker da fervido supporter del death metal made in Sweden non ha nessuna intenzione di cambiare coordinate stilistiche. L’unica vera differenza è che l’influenza degli
Unleashed ha preso un po’ più la mano durante la fase di scrittura dei brani e così un pezzo più cadenzato e lineare come
“Proclamation” fa davvero pensare ad un incrocio ben riuscito tra gli Entombed d’annata e la band di Johnny Hedlund rivitalizzando un sound che, in effetti, non è mai morto e che difficilmente vedremo sparire visti anche i milioni di bands che continuano ad omaggiare i maestri di Stoccolma. Alla linearità generale dell’album si unisce anche una buona scelta in fase di scelta di suoni e così affianco alle classiche chitarre a motosega riusciamo a trovare anche un sound un po’ più moderno e fresco. Certo quando la band si lascia andare al proprio spirito “ignorante” mettendo in avanti la propria adorazione per i
Dismember (guardate un po’ il logo della band e poi ditemi se non si tratta di un vero e proprio tribute-logo ) vengono certamente fuori i pezzi più interessanti, distruttivi e trascinanti di tutto l’album a partire dall’opener
“Perpetual Impudence” che dopo un lungo “intro” esplode in una deflagrazione clamorosa proponendoci un pezzo strappalacrime, tutto nostalgia e brutalità. Altrettanto può dirsi per la seguente
“Abhorrence Of The Unborn” che, se possibile, è ancora più burina e diretta. Di qui in poi però l’album prende una piega più controllata, come se la band volesse dimostrare di essere anche un gruppo più di classe, capace di spazzare via tutto suonando anche in maniera più semplice e posata. Purtroppo non mi sento di essere d’accordo con la scelta fatta perché la tensione e il coinvolgimento scema di parecchio lasciando veramente l’amaro in bocca almeno fino a
“Hostile Life” pezzo che riprendendo le coordinate stilistiche più burine di cui sopra, mostra come la band sappia pestare giù duro quando lo fa senza pensar troppo all’esecuzione o a dimostrare di essere quello che non è. Quando le ultime note di
“On Carrion Wings” sfumano via si ha veramente la sensazione di aver perso un’occasione, l’occasione di far sanguinare ancora le orecchie a basa di un salubre Swedish death metal!
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