E venne il momento in cui gli
Anathema si trovarono a corto di idee. Al terzo ascolto posso dire con convinzione che
Distant Satellites non mi convince. Era prevedibile che avrebbero cercato di cavalcare l'onda del successo clamoroso di
Weather Systems ed infatti Distant Satellites ne ricalca anche lo schema. Lì c'era il singolo portante
Untouchable part 1 e 2, il cui andamento era ripreso qua e là nel disco, qui
The Lost Song, che si fa addirittura in tre. Untouchable part 1 era impetuosa, con un crescendo di intensità che esplodeva per poi scendere nella calma quasi acustica della seconda parte, cantata da Lee Douglas. Lo stesso succede a The Lost Song part 1 e 2. A caratterizzare quello che è sicuramente uno dei migliori brani dell'album, è un ritmo sincopato dubstep che assomiglia a un disco rotto su cui però la melodia scorre lineare. Non esplodono i fuochi di artificio di Untouchable, ma l'album inizia facendo una bella figura, nonostante tutto. La seconda parte è un romantic pop ai limiti della melassa, e Lee sembra una Dolores O'Riordan senza toni lamentosi. La parte 3 è un inutile ibrido fra il ritmo sincopato della prima e la melassa della seconda, in duetto Vincent e Lee.
Dusk è uno strano ma molto riuscito incrocio di anni '80 e '90, fra Pearl Jam, Rem ed il cantato dei Talk Talk. Bella la performance di Vincent, grigio il duetto con Lee.
Ariel prende il nome... no, non dalla Sirenetta ma dallo spirito dell'aria nella Tempesta di Shakespeare; parte bene, sembra uno dei brani meravigliosamente melodici, intimisti e luminosi degli Anathema degli ultimi tre album, con una delicata Lee a cantare. Finisce in maniera ripetitiva, stiracchiata, in un altro duetto di dubbia utilità. Arriva un pezzo omonimo,
Anathema, ed io, chissà perché, mi aspetto una specie di autocelebrazione; in effetti sembra che lo sguardo sia al passato stilistico di albums come
Judgment o
A Natural Disaster, con un assolo finale che ci riporta a
The Silent Enigma.
You're Not Alone è un "maccosa" a lettere maiuscole e luci al neon. Siamo in pieno dubstep mixato col trip hop, tanto che sembra di sentire le ritmiche dei Prodigy su un pezzo di Tricky. Un paio di schitarrate dai toni malinconici e via con
Firelight, intermezzo sospeso, con tastiere/organo dilatate e quasi sacrali, che mi serve per riprendermi un attimo dallo schifo. Perché, al di là del genere del tutto altro dallo stile della band, You're Not Alone è semplicemente brutta. Arriva la title track e, finalmente da quando ho iniziato questo travagliato ascolto mi rigodo una canzone per intero. Stavolta il ritmo dubstep è quello di The Lost Song 1, c'è solo Vincent, che canta al top, e siamo nei territori dei migliori nuovi Anathema. Ancora più nuovi qui, lontani dal prog o dal rock: pop contemporanei.
Take Shelter chiude in chiave
Dreaming Light, per cercare di lasciarci un buon ricordo. E tiriamo le somme: tre brani su dieci veramente belli (quattro con l'intermezzo e facciamo anche la mezza con Dusk), un paio di obbrobri ed una serie di anonimi riempitivi. Ecco, l'impressione generale è che Distant Satellites sia tirato via, fatto a forza di noia e tentativi di sperimentare generi totalmente estranei alla band, non è dato di sapere al momento se per mancanza di idee nel proprio campo o per errate valutazioni sulle proprie inclinazioni/capacità musicali. In entrambi i casi l'esperimento riesce solo sporadicamente. Altra differenza da Weather Systems, in cui tutti i brani erano delle perle, ben strutturate, e le non infrequenti strizzate d'occhio agli anni '80 erano calibrate perfettamente. Gli ultimi due lavori degli Anathema sono stati una sorta di picco di un discorso sviluppato passo dopo passo negli anni, dopo il quale bisognava prendersi il giusto tempo per riordinare le idee. Forse fra concerti e attività varie gli Anathema questo tempo per sviluppare l'ispirazione non se lo sono preso. Quale che sia il motivo, Distant Satellites non va. Disponibili diverse edizioni deluxe; bella quella con la maglietta.