I The Graviators mi avevano favorevolmente impressionato con “Evil deeds”, uscito nel 2012, quindi attendevo con una certa curiosità la nuova prova degli svedesi.
Diciamo subito che non si sono risparmiati, un album di oltre settanta minuti sembra più adatto ad una prog-metal band che non ad un gruppo di questo tipo. Però i brani non sono tirati per le lunghe in maniera arbitraria, hanno invece strutture piene, dense, articolate, ricche di svolte ritmiche e di fughe strumentali che quasi mai sembrano eccessive. Certo, qualche momento di stanca affiora qua e là, ma l’impressione di un lavoro compatto e coeso regge fino alla fine.
Sorprende la voce di Niklas Sjoberg, oggi quasi identica a quella di Steve Hennessey degli Sheavy. E se non fosse per la maggior corposità delle canzoni, si potrebbero notare somiglianze anche stilistiche con la band canadese. Comunque, il quartetto scandinavo è capace di esprimere una linea personale: un mix di heavy rock, stoner, doom, irrobustito da una spruzzata di vibrazioni seventies ed eightees, vedi pezzi come “Tigress of Siberia” o “Drowned in leaves” dove affiorano anche gli attesi echi di Black Sabbath. Sicuramente con questo lavoro i The Graviators dimostrano di poter competere con gente come Witchcraft, Horisont, Danava, con la lussuosa “Druid’s ritual” a chiudere le danze con i suoi tredici minuti di esplosività ed eleganti rallentamenti.
Se vi sono piaciuti i loro precedenti titoli, non perdetevi questo.