Copertina 7

Info

Anno di uscita:2022
Durata:41 min.
Etichetta:Drakkar Entertainment

Tracklist

  1. FALL INTO THE FIRE
  2. HOUSE OF WORSHIP
  3. BORN DEMON
  4. DESCENDANTS OF THE DEVIL
  5. BLACK CROSS ON THE MOON
  6. EVIL IMMORTAL
  7. SALVATION DAMNATION
  8. KILLER SPIRIT (FROM OUTTA HELL)
  9. HEKSEDANS
  10. DESTROYER OF THE EARTH

Line up

  • Olav Iversen: vocals, guitar
  • Tony Vetaas: bass
  • Mads Lilletvedt: drums

Voto medio utenti

Sahg è l'acronimo di "Structures Atlas of Human Genom", nome scelto dalla band norvegese al momento della fondazione nel 2004. Io li seguo dall'album d'esordio "Sahg I" (2006) ed ho sempre apprezzato la loro capacità di intrecciare elementi doom, proto-metal, rock settantiani, heavy stoner, avvolgendoli in una costante atmosfera tesa e iperborea ma con grande e brillante feeling melodico dai connotati schivi ed umbratili. Un sound emotivamente significativo, con strutture molto fruibili ma non semplicistiche, una certa solennità di fondo ma altrettanto dinamismo e linee vocali facilmente memorizzabili. A mio parere gli uomini di Bergen hanno toccato l'apice creativo con "Delusions of grandeur" (2013), dove l'alchimia sonora introduceva sulle fondamenta doom metal una energica sferzata mutuata dallo stoner con coloriture heavy-psych. Gran bell'album, così come il successivo "Memento mori" (2016) che confermava la medesima direzione meno cupa rispetto ai primi tre lavori.
Il motivo per il quale gli scandinavi non hanno mai veramente sfondato, nonostante l'ottimo livello della produzione artistica, è costituito dalla costante volatilità della line-up che nell'arco di sedici anni ha sempre ruotato intorno alla figura del chitarrista/cantante Olav Iversen. A sostegno del fondatore si sono avvicendati numerosi musicisti dell'underground norvegese e questo ha rallentato il processo creativo nonchè diluito la presenza della formazione all'interno della scena stoner-doom internazionale. Anche il presente "Born demon", sesto full-length della loro discografia, giunge dopo l'ennesimo cambiamento con l'uscita del secondo chitarrista Ole Walaunet, passato a concentrarsi sulla propria band Gaahls Wyrd. I Sahg hanno meditato sulla sostituzione, decidendo poi di rimanere un power-trio che vede la presenza, oltre a Iversen, del bassista Tony Vetaas e del batterista Mats Lilletvedt.
C'è qualche novità anche in fatto di sound: ad esempio i brani si presentano più asciutti e concisi che in precedenza, quando gli scandinavi adottavano soluzioni maggiormente estese e con un vago retrogusto prog-metallico. In questo lavoro prevale l'essenzialità ed il groove rotolante (siamo vicini a gruppi come Green Leaf o Lowrider), pur se le radici doom non vengono affatto rinnegate.
Così dopo la grinta heavy-stoner delle ruvide "Fall into the fire" e "House of worship", episodi d'impatto senza troppi fronzoli ma con la tipica algida eleganza di questa band, incontriamo lo slow molto dark della title-track (che evoca i primi Candlemass) ed il classico doom metal melodico "Descendants of the devil", brano abbastanza canonico ma ingentilito dalla sempre piacevole voce agrodolce di Iversen (anche un pò monotematica, ma questa è una costante nella storia della formazione nordica).
Altra bella botta energica proviene dalla cattiva "Evil immortal", che ricorda decisamente le metal band primi anni '80 con il suo ritornello semplice ed incisivo, mentre la successiva "Salvation damnation" risulta ancora più compatta e sferzante, molto heavy rock, pur se è una di quelle canzoni che non pare decollare pienamente. Considerazione che si applica ad un altro paio di tracce, vedi "Black cross to the moon" e "Killer spirit", che sebbene introducano alcune valide intuizioni dramatic-doomy appaiono sotto la media della produzione Sahg.
Meglio la coloritura sofferta ed evocativa di "Heksedans", bella sotto il profilo strumentale ed atmosferico ma con un coretto "na-na-na-naaaa" poco adatto al contesto, ma soprattutto il taglio epico e solenne della conclusiva "Destroyer of the earth" dove ritroviamo a piena potenza lo stile aggressivo ed evocativo del trio norvegese. Tensione e urgenza, pesantezza e feeling oscuro, fiere vibrazioni post-Sabbathiane, un episodio degno della classe di questa band.

Per i Sahg un ritorno sulle scene di buona qualità, non strepitoso causa la presenza di qualche pezzo meno ispirato ma comunque in linea con le caratteristiche che da sempre apprezziamo in questa formazione. Più concisi, più diretti, mantenendo però il rivestimento di melodia amara che Iversen e soci sanno utilizzare così bene.

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